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- Margherita Leone: bozzettista di costumi per il teatro lirico
La cosa che più ama del suo lavoro è la transizione dalla carta al costume vero e proprio. Tramite questa fase Margherita rivive la sua infanzia, quando in casa svolazzavano qua e là infiniti ritagli di tulle. Da Lady Oscar a Marie Antoinette passando per Barry Lindon, ecco un piccolo scorcio sul suo percorso lavorativo. Margherita - Mia nonna era sarta e mia madre modellista e tagliatrice. In casa, lavoravano insieme per un’azienda che produceva costumi semiprofessionali per la danza. Potevo osservarle per ore mentre cucivano tutù in grandi quantità. Già durante gli anni dell’asilo, armata di matite colorate e colori a spirito, provavo a riprodurre i costumi pomposi di Lady Oscar, del Tulipano Nero o della Principessa Zaffiro. Finché, a 6 anni, ti sei imbattuta nel film Barry Lindon (Stanley Kubrick, 1976) … …restandone letteralmente sconvolta. Nei mesi successivi – proprio come avevo fatto per i cartoni animati – non feci altro che riprodurre le parrucche di Lady Lyndon (interpretata da Marisa Berenson) o le mise che Milena Canonero aveva disegnato per lei. Ammiro molti costumisti ma – credimi – per la Canonero ho un vero debole. In occasione della mostra intitolata “I Vestiti dei Sogni” (Palazzo Braschi, 2015) ho potuto vedere i costumi da lei ideati per il film Marie Antoinette (per cui ha vinto l'Oscar ai migliori costumi nel 2007). Attraverso l’uso sapiente di taffetà e raso è riuscita a rendere la leggerezza dei costumi originari. Riguardo al tuo percorso lavorativo mi hai nominato il costumista Gianluca Falaschi. Ho avuto l’onore di collaborare con lui attraverso un lavoro eseguito a più mani per le opere liriche Aida, Attila e Macbeth. La prima è andata in scena al Teatro dell’Opera di Sidney nel 2018 mentre con Attila e Macbeth è stata inaugurata la stagione lirico-sinfonica del Teatro alla Scala di Milano, rispettivamente nel 2018 e 2021. Con Falaschi ho iniziato a lavorare come bozzettista e a lui devo molto: oltre ad avermi insegnato varie tecniche di lavorazione, mi ha trasmesso una sana passione per il colore. Con lui ho capito quanto fosse fondamentale, nel mio mestiere. Il colore risuona in uno spazio vuoto e indefinito e si materializza ai nostri occhi. Si fa materia fino a plasmare i costumi. Circa la relazione che hai col tuo lavoro, hai fatto cenno ad una sorta di attrazione o erotismo. Mi riferisco ad una forte connessione paragonabile a un fuoco interiore. Di recente, leggendo un saggio filosofico – Manuale di Fioritura personale di Andrea Colamedici e Maria Gancitano - mi sono imbattuta nel concetto di “eroticità del mondo”. È stata la prima volta che ho letto qualcosa di così simile al mio modo di osservare il mondo circostante. L’eroticità può risiedere anche nella preparazione di un piatto o in un profumo che senti mentre cammini per strada. È in qualsiasi cosa riesca a rapirti, creando in te uno stato di sublimazione che non è dovuto solo alla bellezza ma che può dipendere anche dalla bruttezza, dal pericolo… Grazie per aver partecipato a Le Microinterviste, Margherita! 🙏🏽 ps: per saperne di più, contattala su Direct▼ https://www.instagram.com/hydrangea.marg/
- Mario e Caterina del Centro Pedagogico Upendi
Nel 2010 Mario Iacovelli e Caterina Valerio fondano il Centro Pedagogico Upendi. Mario è laureato in "Educazione professionale nel campo del disagio minorile, devianza e marginalità"; Caterina (per tutti Katiana) è specializzata in "Coordinazione dei servizi educativi e dei servizi sociali". Unendo le loro forze e competenze, hanno creato un progetto in cui pedagogia e arti circensi sono in perfetta simbiosi. L’aspetto che più mi ha colpito del vostro progetto è il concetto di “Circo Sociale”, che trovo davvero meraviglioso. Katiana – Grazie, Giovanna. Per Circo Sociale intendiamo l’insegnamento delle arti circensi (giocoleria, acrobatica, clownerie etc.) rivolto a individui a rischio sociale, con lo scopo di trasmettere loro non solo delle abilità ma anche alcune qualità, come ad esempio lo spirito di collaborazione e il senso di responsabilità. Creatività, autonomia e autostima sono altri fattori importanti che aiutano a ridurre il rischio di devianza. Mario - Dal punto di vista strettamente pedagogico le arti circensi possono aiutare anche nei disturbi legati all’apprendimento. Un’esperienza significativa in tal senso l’abbiamo vissuta con un bambino discalculico: seguendo il ritmo dei passi con i trampoli ha imparato a contare. L’equilibrismo gli ha conferito sicurezza e concentrazione. Ad ogni modo, anche decontestualizzate, la giocoleria, l’acrobatica, la clowneriee la clowntherapy possono essere applicate in tutte le dimensioni dell'essere umano. Che si intende, esattamente, per ‘devianza’? Mario - È l’adozione di comportamenti che – come dice la parola stessa - “deviano” dai comportamenti socialmente accettati. Il bullismo ne è un esempio lampante. “Pedagogia del circo” è diverso dal “Circo Sociale” di cui sopra, giusto? Katiana - Sì, perché nella Pedagogia del Circo l’attenzione principale va sul percorso individuale, curando gli aspetti dell’educazione alla disciplina e della conoscenza del proprio corpo. Attraverso lo studio e l'applicazione delle arti circensi molti ragazzi possono conoscersi meglio, avendo più coscienza tanto delle proprie potenzialità quanto dei propri limiti. Wow, la clowntherapy… Nutro una sincera ammirazione per chi se ne occupa. Katiana - Tempo fa, in collaborazione con l’Ospedale della Murgia Perinei, abbiamo prestato servizio di volontariato nel reparto pediatria con la clowntherapy. È stata un’esperienza magnifica, formativa e appagante. Durante la settimana tenevamo corsi per adulti, la domenica prestavamo servizio in corsia. I bambini ricoverati si divertivano, dimenticando per un attimo di essere allettati tra quattro mura sterili. Che meraviglia! Tra i progetti da voi realizzati c’è stato anche un laboratorio di cinematografia per ragazzi dai 14 ai 19 anni. Mario – Esatto. In collaborazione con la videomaker Mariangela Cipriani, abbiamo realizzato un cortometraggio sulla tematica della Comunicazione dal titolo “Parole (s)contate” (https://vimeo.com/310090298). È stata un’esperienza bellissima e formativa per tutti, conclusasi con la menzione speciale della critica del concorso “InCorto”. Grandi, ragazzi! Vi ringrazio davvero tanto per aver partecipato all’intervista su Scream of Consciousness. <3 http://www.upendi.it/ https://www.facebook.com/centropedagogicoupendi https://www.instagram.com/centro_pedagogico_upendi/
- Rosa, mia madre
Dall’Istituto Commerciale frequentato negli anni ’60 ai 35 anni di servizio svolto presso un'importante azienda nazionale. Da quanto mi avete raccontato tu e papà, l’istruzione aveva un valore un tantino diverso da quello attuale. Andare a scuola presupponeva una serie di spese e poterle affrontare all’epoca era per noi un vero privilegio. Forse anche per questo i cumuli di neve che di tanto in tanto ci sorprendevano sulla Murgia non hanno mai rappresentato un ostacolo. Tu hai addirittura pianto per andare a scuola... Finita la terza media, mio padre mi vietò di continuare gli studi. All’epoca i miei genitori gestivano un negozio ed io, essendo la figlia più grande, dovevo aiutarli nella conduzione della casa, prendendomi cura dei due fratelli più piccoli. Mio padre, constatando il mio forte dispiacere, cambiò idea: mi permise di andare a scuola, a patto che continuassi ad occuparmi delle faccende domestiche. Cosa voleva dire all’epoca frequentare una scuola mista? Per molti era una forma di emancipazione e veniva percepita, sostanzialmente, in due modi: chi aveva una mentalità arretrata criticava la contiguità tra uomini e donne; chi, invece, dava valore all'istruzione e alla formazione, ci ammirava auspicando per noi una buona chance lavorativa. L’Istituto che ho frequentato ci abilitava a svolgere diverse mansioni nell’ambito commerciale. Già alla fine del terzo anno, con soli diciassette anni, ci permisero di svolgere un tirocinio presso alcune aziende dandoci l’opportunità di affacciarci al mondo del lavoro. A 23 anni ho superato un concorso entrando a far parte del personale di una prestigiosa azienda nazionale. Lì ho lavorato come Assistente Commerciale per più di trent’anni. Ho sempre percepito l’importanza che davi al rapporto col pubblico. Il rapporto umano era alla base del mio lavoro: il mio obiettivo principale era capire le problematiche tecniche che gli utenti stavano affrontando per poi aiutarli a risolverle. Per questo, se necessario, utilizzavo il dialetto. Il livello d’istruzione non può fungere da ostacolo alla comunicazione, e lo stesso deve valere per il linguaggio. Era gratificante veder andar via un cliente soddisfatto del servizio ricevuto. Penso che la propria esperienza lavorativa sia ulteriormente piacevole se lo è anche il rapporto con i propri colleghi. Tra senso di collaborazione e stima, si è sempre creato un ambiente positivo che ricordo ancora con affetto. Grazie per aver partecipato, Madre. :)
- Il filo di Anna per la recycled and string art
Anna trasforma vecchie bottiglie di liquori e distillati nella base di eleganti lampade, mentre, servendosi della string art, rende tridimensionali cactus, ali spiegate, invitanti fette di torta, skyline, nomi o intere frasi. Il filo di Anna è espressione di una storia in cui, a momenti intensi, è seguita la piena espressione di sé all’insegna dell’amore per l’ambiente e per l’arte. Il tuo è un vero e proprio mix tra string art e riciclo. La mia avventura con la string art, infatti, è cominciata proprio mentre recuperavo materiale in casa di amici. Lì i vecchi proprietari avevano lasciato molti oggetti, tra cui un quadro in legno massello che ho risistemato affinché ospitasse un albero della vita (un’immagine davvero ricorrente nel mio vissuto). Ripensandoci, non credo di aver scelto la string art in modo consapevole. Penso, piuttosto, che dopo anni di ricerca sulle tecniche artistiche più disparate, si siano create le situazioni adatte affinché mi ci dedicassi. La casualità ha fatto confluire nella stessa direzione le nozioni di ebanisteria apprese presso l’Istituto d’arte e tutto quello che i miei genitori mi avevano insegnato sul bricolage. Inoltre mia madre è ricamatrice e i primi fili per realizzare quell’albero me li ha dati lei. Come mi insegni, la string art è diventata una tecnica decorativa solo negli anni ’60. Nacque, infatti, nel XIX secolo da un’idea della matematica e filosofa britannica Mary Everest Boole per introdurre i bambini ai principi della matematica. Fu solo negli anni ’60 che divenne una vera e propria forma d’arte la cui caratteristica saliente è l’utilizzo di sole linee rette, quindi la possibilità di creare “curve senza curve”. Mi hanno molto colpito le tue ali spiegate. Rappresentano un mio volo metaforico: realizzandole, stavo dando seguito a qualcosa che mi piacesse davvero. C’è stato un momento della mia vita in cui, chiusa in una stanza d’ospedale per seri problemi di salute, trascorrevo intere giornate tenendo le tapparelle abbassate e il volto sotto le coperte. È stato solo con la guarigione che ho ritrovato la voglia di esprimermi. La prima cosa che ho fatto è stata armarmi di matite e fogli per disegnare il mio progetto preferito: Casa Kaufmann, ovvero la casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright. Da allora non ho più smesso di creare. Tra le tue creazioni, c’è anche il capitolo “Lampade”, emblematico della collaborazione e del riciclo. Esatto. Grazie a una bellissima rete di amici, riesco a recuperare e perforare le bottiglie stilose e spesso colorate di distillati e liquori. A loro devo molto. Come mi dicevi, ti piacerebbe diventare insegnante sia per trasmettere la tua esperienza personale, sia perché confidi molto nel potere della creatività. Oltre ad avere un potere terapeutico, l’arte – a mio avviso – può aiutare un individuo ad avere un’idea più chiara di sé stesso, soprattutto nella fase preadolescenziale. Inoltre, creare qualcosa insegna la bellezza del processo, tra una condizione iniziale, l’accumulazione graduale di nuovi fattori e il compimento del progetto. È stato un vero piacere averti su Scream of Consciousness, Anna! Ad maiora! I Link di Anna: Instagram: https://www.instagram.com/ilfilodi_anna/ Facebook: https://www.facebook.com/ilfilodiannastringart
- Le pittosculture di Pietro Messina
Le sue opere d’arte tridimensionali nascono da un’intuizione. Riciclando materiale informatico e non solo, Pietro costruisce città futuristiche e paesaggi immaginari. Pietro - Dopo aver collezionato quadri per tanti anni, un bel giorno ho deciso di comprare colori e pennelli e ho iniziato a dipingere. Ho cominciato con la tecnica del dripping (quella di Jackson Pollock) ma presto mi sono reso conto che eravamo in tanti ad imitarlo e la cosa non mi piaceva affatto. Finché un giorno... ...son passato a salutare un mio amico che all’epoca riassemblava e rivendeva computer. Osservando il materiale elettronico sparso su un tavolo del suo laboratorio…ci ho visto una città! Di lì ho iniziato a crearne alcune dando vita al ciclo “Città perdute”. Ho riscontrato subito un notevole interesse: nelle mostre a cui ho partecipato, in molti si sono fermati a guardare le mie opere, ricalcandone l’originalità. Anche i concorsi mi sembrano contesti interessanti per capire se le mie opere piacciono o meno. Al momento mi son preso delle belle soddisfazioni. Posso ritenermi fortunato. Tanta originalità espressa attraverso materiale riciclato. Assolutamente. Utilizzo un po’ di tutto, non mi do limiti, ma – com’è evidente – ho una certa predilezione per il materiale infomatico. Il bello del riciclo è che la creazione dipende da tempistiche imprevedibili: ottimizzando il materiale a mia disposizione, posso creare alcune cose in un determinato momento e non in un altro. Confesso di essermi innamorata di alcune tonalità di blu di certe tue opere. Le trovo ipnotiche. Ho formulato un composto fatto di prodotti chimici non convenzionali il cui risultato è un blu piuttosto singolare. Mi ha onorato constatare che alcuni artisti, nei loro commenti, lo abbiano chiamato "il blu Messina”. Ad ogni modo, al di là del colore, tratto tutte le mie creazioni in modo tale da risultare “vetrificate”. Per questo, oltre a presentarsi lucidissime e resistenti, si illuminano alla luce del sole. Tra le tue foto, ho intravisto una Città Immaginaria con al centro una teca… …una teca studiata per contenere 7500 monetine da un centesimo. Chi contribuisce a riempirla partecipa alla realizzazione dell’opera (gesto testimoniato e reso ufficiale con una foto e una firma). Di qui il nome del progetto: Con un centesimo. L’arrivo del Covid mi ha costretto a metterlo in stand-by ma spero presto di riprenderlo. Bella idea! Raccontandomi del tuo percorso artistico hai nominato spesso tua moglie e tua figlia. Certo, perché non le ringrazierò mai abbastanza per il loro indispensabile supporto, sia dal punto di vista psicologico – il loro giudizio è assolutamente sincero – che dal punto di vista fisico – da solo sarebbe impossibile gestire opere che a volte superano i 40 kg. Gli sono grato anche per avermi convinto a realizzare opere di dimensioni ridotte (20x20 e 30x30) da cui è nato il ciclo Artificial Intelligence. Così sono molto più gestibili da ogni punto di vista. Grazie mille per aver partecipato a questo Scream of Consciousness, Pietro! Ad maiora! Pietro Messina Artista è su Instagram: https://www.instagram.com/pietromessinaartista/ Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100063733563413
- Connessa alla sua terra, connessa a tutto il mondo. Miriam Carpinelli e il Pastificio dei Campi
Miriam Carpinelli, oltre ad essere una mia carissima amica, è anche il Commerciale Estero del Pastificio dei Campi (https://www.pastificiodeicampi.it/), una delle aziende più rinomate della pasta gourmet Made in Italy. In questo momento storico, i viaggi aziendali sono momentaneamente sospesi. Eppure grazie alla natura del tuo lavoro, riesci ad avere un contatto col mondo estero. Esatto. È un aspetto del mio lavoro che si è rivelato salvifico in questo momento storico. Come dico spesso per esprimere in breve lo spirito del mio lavoro: “Mi sveglio col Giappone e rincaso con l’America”. Ieri, ad esempio, ho parlato con commerciali di Singapore, Spagna, Germania, Svizzera e Stati Uniti. Comunicare con persone che provengono dai posti più disparati del mondo alimenta la curiosità che ho sempre nutrito verso le culture altre. Ad ogni modo, al di là della mia esterofilia, questo lavoro mi ha portato a riflettere su molti aspetti della comunicazione. Ho imparato che l’empatia e la fiducia si riflettono positivamente sugli affari e sulla qualità del tempo trascorso in ufficio. Inoltre, la politica aziendale di Pastificio dei Campi ci spinge ad avere un atteggiamento collaborativo all’interno del team. Accanto ai complimenti per l’altissima qualità della nostra pasta, riceviamo la stima dei nostri clienti e partner commerciali. E questo è motivante. Hai accennato all’altissima qualità della pasta di Pastificio dei Campi. Se ho ben capito, assieme a pochi altri marchi, è la pasta più costosa sul mercato. La meticolosità riposta nella scelta delle materie prime, il rispetto per la tradizione e l’anima ecologista dell’azienda sono fattori che richiedono un’adeguata ricompensa. I campi di grano – di proprietà dell’azienda – vengono coltivati con rotazione triennale (metodo tradizionale) e la pasta viene essiccata in modo naturale. Inoltre il packaging è ecosostenibile e riporta la tracciabilità del prodotto. Il laboratorio del pastificio in cui lavoro ha lo stesso odore della spianatoia su cui mia nonna lavora la pasta. E questo la dice lunga. C’è della poesia in tutto ciò. Che meraviglia! Dal backstage, mi sveleresti un piccolo trucco su come riconoscere una pasta di buona qualità? Certo. L’essiccazione naturale permette alla pasta di preservare il colore chiaro tipico della semola. Avrai notato come alcuni tipi di pasta spesso assumono un colore aranciato o brunito, e questo accade perché, se sottoposta a getti d’aria calda tramite l’essiccazione industriale, gli zuccheri contenuti nell’amido del grano si caramellizzano. A tal proposito, potrebbe risultare interessante informarsi sulla Reazione di Maillard. (https://it.wikipedia.org/wiki/Reazione_di_Maillard). Grazie mille per questa interessante dritta, Miriam! E grazie per la tua partecipazione a questo Scream of Consciousness.♥︎
- Un colloquio di lavoro è innanzitutto un’interazione - L’onesto parere di una Senior Recruiter
Giusy lavora per una società internazionale di consulenza manageriale. Interfacciandosi con team e candidati sempre nuovi, ha accumulato una quantità importante di esperienze professionali e umane, perché il colloquio è pur sempre un’interazione tra due persone, non solo un’azione necessaria ad ottenere qualcosa. Esistono molti stereotipi su come affrontare un colloquio. Eppure la realtà dei fatti dimostra che alcune formule possono funzionare per una persona e non per un’altra. Se ti costruisci troppo le risposte rischi di sopprimere le tue soft skills privandoti di quella naturalezza che influisce positivamente sia nell’immediato che in senso retroattivo. Una naturalezza che, però, dovrebbe includere una buona struttura mentale. Assolutamente. Ti faccio un esempio: “dimmi in poche parole chi sei” è una domanda volutamente aperta affinché il candidato si esprima liberamente su sé stesso. Ma se risponde con frasi prive di senso compiuto – come mi è capitato – dà la sensazione di non saper comunicare e questo è un problema. La comunicazione è la fonte della maggior parte dei problemi sul lavoro. Non può essere carente già dal colloquio. Forse sarebbe bastato prepararsi un po’… Quindi, tutto sommato, anche se è inutile attenersi ad un copione prestabilito, ci sono aspetti su cui va riposta una certa attenzione. Bhè, sì. Se non sei abituato a parlare di te stesso davanti a qualcuno, puoi esercitarti a simularlo nei giorni precedenti. Inoltre compiere qualche ricerca sull’azienda per cui vuoi lavorare dimostra interesse e, ovviamente, viene apprezzato. Terzo aspetto da non trascurare: il CV! In fase di selezione è lo specchio di te stesso. Tendo ad ignorare piccoli errori di spelling, la formattazione del testo un po’ meno. E poi svariati aspetti della comunicazione verbale che vanno a braccetto col senso comune… Ovvero…? Parlo delle basi della società civile! LOL! Una volta mi è capitato che, durante il colloquio, un ragazzo mi volesse passare la fidanzata al telefono perché anche lei aspirava alla stessa posizione lavorativa. A una mia collega, invece, è capitato di chiamare il candidato all’orario stabilito e di avvertire in sottofondo un rumore strano. Si stava facendo un tatuaggio. “Ma non si preoccupi, riesco a seguirla!”. LOL – Part Two Ci sono però anche colloqui che ti arricchiscono. Certo! E questo mi capita soprattutto con i candidati Senior. Spesso mi raccontano esperienze interessanti, non solo professionali, ma anche di vita. D’altronde è una storia quello che un candidato racconta. Storie del e dal mondo… Una delle mie ultime candidate mi ha ringraziata perché “l’ho salvata dalla Bielorussia” (usando le sue stesse parole). Di lì a due mesi le sarebbe scaduto il permesso di soggiorno… Mentre un altro candidato, parlando della retribuzione che gli sarebbe spettata, mi ha detto: “So che vengo da un paese sottosviluppato” – si riferiva al Kazakistan – “e che non posso puntare ad uno stipendio di un autoctono”. La sua osservazione mi ha colpita sebbene fossi ben consapevole che in giro per il mondo ci sono politiche aziendali fondate su criteri discriminatori: età, etnia, voglia di procreare… L’azienda per cui lavoro, fortunatamente, valuta solo l’attitudine e le competenze. E ne sono fiera. Grazie per aver condiviso tutto ciò, dolcezza.
- Leo Cicala e la musica acusmatica
Leo Cicala - compositore, interprete acusmatico, live performer ed insegnante - condivide su Scream of Consciousness la sua passione per la musica acusmatica, un genere nato a Parigi nel secondo dopo guerra. Parigi sarà un centro importante per questo tipo di studi, immagino. Lo è, senza alcun dubbio. Per questo ho deciso di seguire un corso d’acusmatica presso il Conservatorio di Parigi (Conservatoire national supérieur de musique et de danse de Paris - CNSMDP). Come ti sei imbattuto nell’acusmatica? Come spesso succede – o forse sempre – le cose che ti fanno cambiare strada nella vita avvengono per caso. Prima di dedicarmi all’acusmatica, suonavo jazz ed ero completamente proiettato in quel linguaggio. Finché un giorno, circa 17 anni fa, il Vallisa Cultura Onlus (https://www.vallisa.it/) propose un concerto di un tale Stockhausen. Mi ci recai, con la convinzione che si trattasse del trombettista Markus Stockhausen. Arrivato presso il Vallisa, scoprii che l’artista in questione era un signore anziano, dall’aspetto ieratico, con indosso un camice bianco. Con fare da chirurgo, proiettò dal suo mixer un’opera letteralmente inaudita attraverso quattro grandi diffusori acustici posti in alto sulle nostre teste. Ne restai folgorato e affascinato. Quel musicista era Karlheinz Stockhausen (il padre di Markus), ovvero uno dei compositori più grandi del XX secolo. Di lì la decisione di iscrivermi al corso di Musica Elettronica presso il conservatorio di Lecce. Nella scuola pitagorica chiamata akusmatikoi, i discepoli udivano gli insegnamenti del proprio maestro al di qua di un velo, senza quindi poterlo vedere. Pierre Schaeffer ha ripreso quel nome per coniare l’aggettivo “acusmatica”. Esatto. Con “acusmatica”, infatti, ci riferiamo ad un tipo di musica in cui la fonte del suono è invisibile. Non c’è nessuno che suoni dal vivo: lo strumento è un’apparecchiatura più o meno complessa che proietta i suoni dell’opera. E questa è solo una caratteristica peculiare di questo genere. Nell’acusmatica manca la ripetizione dei ritmi e i materiali sonori che compongono l’opera possono provenire da qualsiasi ambiente, mezzo e superficie. Quello che più comunemente chiamiamo “rumore” non è più considerato uno scarto ma assume la stessa dignità degli altri suoni. Anche per quel che riguarda la fruizione, il concerto acusmatico è di tipo immersivo, ovvero prevede che i diffusori acustici vengano disposti secondo uno schema a doppi cerchi concentrici attorno ad ascoltatori rilassati, seduti o adagiati su materassini. Su Youtube sono disponibili alcuni video del Festival Internazionale “Acusmoniae” di cui sei l’organizzatore. Si tratta di un progetto che ho portato, tra il 2014 e il 2018, in diverse scuole della Puglia e presso l’Università Tor Vergata di Roma. A tal fine mi sono servito di un dispositivo mobile chiamato acusmonium “Rizoma”, costituito da 52 altoparlanti. È lo stesso che utilizzo nell’associazione culturale di cui sono presidente, l'ACUSMA Teatro del Suono (http://acusma.it/) di Bari. 52 altoparlanti? Wow… Voglio sapere cosa significa ascoltare un concerto così! Spero di avere presto questa possibilità, Covid permettendo. Grazie mille per la tua partecipazione a questo Scream of Consciousness, Leo! E auguri per tutto! Alcune composizioni di Leo sono disponibili su Soundcloud e Spotify ⏬ https://soundcloud.com/leocicala https://open.spotify.com/track/0x9EQ0S5kcEK7eA5fOqVa2?si=k0XGbxj-SCabkUDnKzKAaw&utm_source=copy-link&dl_branch=1
- Il tatuaggio a mano di Marika D’Ernest
Marika vive il suo percorso di tatuatrice come un continuo divenire. La sua passione per il tatuaggio a mano (handpoke o hand poked) è carico di profondità, ispirazioni e connessioni umane. A tuo avviso, il tatuaggio coincide spesso con un “rito di passaggio” tra diversi momenti della propria esistenza. Intendo dire che, non di rado, l’esigenza di farsene uno si manifesta in concomitanza di importanti cambiamenti della propria vita. Mi rifaccio al concetto di “rito” perché, in questo momento, mi sto concentrando sull’aspetto rituale e magico del tatuaggio, ispirandomi a ciò che il tatuaggio rappresentava nell’antica cultura berbera. Inoltre, in quel contesto, veniva praticata dalle donne e per le donne e questo mi rende molto vicina a quell’approccio perché mi affascina tutto quel che riguarda l’energia femminile. A volte coincide con una forma di sberleffo al potere o come ribellione verso certi schemi della nostra cultura. Come ti sei avvicinata a questo metodo tradizionale? Facendomene fare uno nel 2014. Mentre Jenna Bouma mi tatuava, le raccontai dei miei primi tattoo flash (disegni fatti su carta o altri supporti destinati a diventare tatuaggi). Mi trasmise la sua passione autentica e mi incoraggiò ad intraprendere questa strada. A Jenna sono seguiti altri sinceri sostenitori e anche a loro devo molto. Il tempo mi conferma, di volta in volta, che è questo il mio percorso e so di viverlo serenamente perché non smetto mai di imparare. Anche la rete di condivisione e supporto creatasi nel mio ambiente lavorativo ha portato al formarsi di belle amicizie (in Italia come all'estero). Mi sento parte di qualcosa di più grande e poter vivere il mio lavoro così è un vero privilegio. Di tutti i tatuaggi che hai realizzato sino ad oggi, ce n’è qualcuno che ricordi in modo particolare? Una ragazza a cui avevo appena fatto un tatuaggio mi disse: “Ho l’impressione di averlo sempre avuto ed è esattamente quello che volevo. Grazie”. Fu un’emozione indescrivibile. Tuttavia per me conta trasmettere la cultura del tatuaggio: non è soltanto un’arte decorativa e legata all’estetica ma ha radici molto più profonde con la storia di una persona. Non so se ho reso la "non idea". In generale mi piace molto tatuare chi ha un’anima antica, ovvero una persona il cui vissuto va oltre il concetto di tempo. In sua presenza, hai la sensazione di aver condiviso molto di più di quel semplice momento. Le anime antiche le senti, è difficile definirle. Che bello questo concetto! *-* Grazie mille per aver partecipato alle Microinterviste, Marika. Ad maiora! Puoi ammirare i lavori di Marika sul suo profilo Instagram (freccia verso il link) https://www.instagram.com/marika.dernest/
- 4 volti femminili tra i dipinti ad olio di Alessandro Cerato
Tra i dipinti ad olio di Alessandro, spiccano volti dai colori insoliti e ornati di elementi acquatici e floreali. Donne di altri tempi riaffiorano sotto una nuova luce. Alessandro - Non mi ispiro mai a una persona o a un personaggio in concreto. Al contrario, mi lascio ispirare dal momento: durante il processo creativo, il mio dipinto si sincronizza con ciò che sto pensando o ascoltando. Così, ad esempio, hai dedicato un tuo dipinto a Johanna Bonger. Esatto. Ascoltando un podcast, mi sono imbattuto nella storia di Johanna Bonger. Alla morte di Vincent Van Gogh (che era suo cognato), ereditò il 99% dei suoi dipinti e si prodigò alla promozione degli stessi per i trent’anni che ne seguirono. Chissà se avremmo conosciuto “Notte stellata” (De sterrennacht) anche senza il suo contributo! Eheh, chi può saperlo! A proposito di Irma Bandiera, invece… Le foto e la narrazione storica ci restituiscono un’immagine piuttosto distante dal tuo ritratto. Ne sono consapevole. L’indice che preme sul labbro inferiore rimanda alla sua sensualità (mi ricorda le dive dell’epoca). Anche il giallo e il giallo arancio – così imperanti sulla tela – sono in netto contrasto con la tragica fine per cui è nota. Irma Bandiera (Bologna, 1915-1944) è stata una vittima dei nazifascisti. Arrestata nell’agosto del ’44, fu seviziata per sei giorni e sei notti. Fu persino accecata con una baionetta ma resistette senza parlare, salvaguardando i suoi compagni. In generale, dedicando i miei ritratti a determinati volti della storia non ho il desiderio di farne una copia fedele o di raffigurarne il tratto storico più saliente. Piuttosto, ne esalto quello meno decantato o, più semplicemente, ne immagino uno. Più che ritratti, sono reinterpretazioni. Come quella della principessa della Battriana: mi permetto di rinominare quel dipinto con “The dark side of Rossane”. Ha senso. Il caso della moglie di Alessandro Magno mi ha sempre incuriosito molto: il fatto che fosse la figlia di un governatore di una provincia della Battriana (antica regione storica dell'Asia centrale) strideva – a mio avviso – accanto alla magnificenza e al potere del re macedone. È pur vero che era descritta, dai suoi contemporanei, come la donna più bella di tutta l'Asia. Forse questo spiega tutto. Tuttavia non le mancò un lato cupo: dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) ordinò di uccidere le altre mogli del marito consolidando la sua posizione e quella del figlio nascente (Alessandro IV, nonché legittimo erede). Layla, invece… …è un mio tributo a Eric Clapton nonché il titolo di una nota canzone pubblicata nel 1971 dai Derek & The Dominos (di cui Clapton era il frontman). Sotto lo pseudonimo di Layla si celava Pattie Boyd (l’allora moglie di George Harrison) che tornò ad essere sua musa ispiratrice qualche anno dopo nella composizione di Wonderful Tonight. Grazie per questo piccolo viaggio esplorativo! :) (per questioni di spazio ho selezionato per l'intervista solo 4 dipinti. Ma puoi ammirare le altre creazioni di Alessandro a questo link⇣) https://www.instagram.com/ale.cherry.art/
- I disegni di Roberta Martucci
Roberta traccia la struttura geometrica dei propri soggetti con sicurezza e rapidità. Tutto il resto viene elaborato direttamente a penna, in un processo lento e graduale. Roberta - La mano procede da sola in un atto di profondo rilassamento: ascoltare il suono cadenzato dello scorrere della penna mentre definisco le sfumature è quasi una meditazione per me. Anche un disegno semplice può richiedere diverse settimane per poter essere completato, poiché lo lascio in attesa che le idee emergano e le strutture grafiche entrino in connessione. Il cranio del soggetto ritratto nell’illustrazione intitolata Free è luogo d’origine di uno stormo di rondini e di una scala mentre una nuvola ci piove dentro. In Asmodeo, invece, la fronte del soggetto del disegno ospita due antenne – o corna? – e il suo sguardo è piuttosto diabolico. Sì. Spesso i miei disegni sono stati definiti inquietanti e onirici, aggettivi apparentemente in contrasto tra loro ma che apprezzo in egual misura. Ritengo che l’essere inquietati e spaventati porti ad una spinta energetica essenziale per l’atto creativo e che la trepidazione sia una componente dei sogni (o, per lo meno, lo è dei miei). Il disegno, insieme alla fotografia, è una parte essenziale della mia vita. Non ho mai preso lezioni in arti visive. Ho lasciato fluire la mia passione e la rappresentazione delle immagini senza darmi limitazioni. Disegnare, per me, è un atto naturale qualsiasi: fa parte delle mie giornate e non è diverso dal fare una foto o guardare un film; per certi versi non è diverso nemmeno dal bere un bicchiere d’acqua. Anche quando non disegno, la mia mente trasforma immagini, film, espressioni di un volto e linee dei corpi in immagini da riprodurre a penna. Alcuni tuoi disegni ricordano foto e immagini d’epoca come anche lo steampunk con la sua fantascienza ottocentesca. Esteticamente sono molto legata alle immagini d’epoca. Amo reinterpretare sotto una nuova luce le foto delle attrici del secondo dopoguerra, come anche le immagini di alcuni studi etnoantropologici e le illustrazioni anatomiche eseguite a mano. Aggiungo dettagli artificiali e naturalistici alle figure umane partendo da disegni preesistenti, come è successo per Think, ad esempio: ho riprodotto per sommi capi il volto del protagonista di un’illustrazione anatomica dei primi del ‘900 e ci ho aggiunto abiti d’epoca, la connessione ad un processore e dettagli pseudo-meccanici del tutto inventati. Per Mechanical mind, invece, ho utilizzato una foto del musicista M. Ward infilando nella sua testa un impianto estrattivo. Penso che nella costruzione del mio immaginario abbiano influito i movimenti surrealisti europei (in particolare quello ceco) e diversi artisti dadaisti. Anche se i punti di riferimento e le fonti di ispirazione sono davvero tante, mi fa piacere menzionare due artiste nello specifico: l’attrice, regista e studiosa di estetica Maya Deren, che incise fortemente sulla definizione del cinema sperimentale, e Kati Horna, una fotoreporter capace di registrare il reale attraverso immagini dal tocco onirico di rara eleganza. Complimenti, Roberta! E grazie per aver partecipato ancora una volta. ♥ (https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/mente-e-corpo-i-colleghi-di-sempre). Resta aggiornato sulle prossime creazioni di Roberta Martucci! ⬇️ https://www.instagram.com/zotiki_anapnoi/ https://www.behance.net/robertamartucci
- Indossare la propria interiorità attraverso il gioiello: l'oreficeria di Marika Lavecchia
Le bellissime creazioni di Marika sono il frutto di un’esplorazione da autodidatta nel mondo dell’oreficeria. Per lei il gioiello completa l’interiorità di chi lo indossa, come se fosse un tatuaggio mobile. Per te il gioiello non deve renderci belli solo fuori… Esatto. Penso che il consumismo faccia nascere spesso in noi il desiderio illusorio di avere cose che in realtà non necessitiamo. In controtendenza con questo approccio, quando devo realizzare un gioiello chiedo ai miei acquirenti di focalizzarsi sulla propria dimensione intima. All’autoritratto che ognuno fa di sé stesso pongo delle domande: “Qual è la tua bellezza?”. Oppure: “Qual è quell’aspetto di te che vuoi sfoggiare o mettere in mostra?”. Non deve essere necessariamente una virtù, potrebbe trattarsi anche di una debolezza. Mi farebbe piacere se, una volta indossato, il gioiello ti facesse sentire più bella fuori ma anche più sicura dentro. Come se fosse una sorta di esorcismo delle proprie paure: le rendi tangibili e, in questo modo, anche più gestibili, maneggiabili. Cosa ti soddisfa di più del tuo lavoro? La maggior parte dei gioielli che ho realizzato sinora vengono indossati dai miei acquirenti ogni giorno. Questa per me è una gran cosa perché significa che sono riuscita a fissare il loro punto focale. Mi piace davvero tanto la tua visione dei gioielli! E sono molto curiosa di scoprire qual è il mio punto focale (se mai, nel mio caos, riuscissi ad individuarne solo uno XD). Negli ultimi anni mi sono resa conto che apprendere una disciplina o un’arte può influire molto sull’idea che abbiamo del tempo, cugino di primo grado della santa pazienza. Già. E per il mio lavoro ce ne vuole parecchia: modellare un metallo ti impone il rispetto di tempi ben precisi tra riscaldamento, raffreddamento, impiego di acidi… In più, vanno calcolati gli incidenti di percorso: può capitare che, sull’ultima saldatura, avvengano fusioni insperate. Con la santa pazienza di cui sopra, va rifatto tutto da capo. Parallelo all’aspetto tecnico del mio lavoro è il costante studio della chimica e della geometria, a cui aggiungo letture sulla filosofia alchemica, trovandole di grande ispirazione per il processo creativo. Inoltre a breve inizierò a seguire un Master in Design del Gioiello presso l’Italian Design Institute di Milano, corso che ho scelto non solo per acquisire nuove tecniche, ma anche per imparare ad utilizzare dei software per la modellazione 3D. L’oreficeria, oltre all’importanza delle tempistiche, mi ha insegnato a staccarmi dal mondo. Non so se considerarlo un aspetto del tutto positivo perché nella vita personale può creare qualche problema. Ma imparare a prendere del tempo per me stessa è stato e resta un “effetto collaterale” del mio mestiere che apprezzo molto. Grazie per aver condiviso tutto ciò su Scream of Consciousness, Marika! Attendo tuoi aggiornamenti e in bocca al lupo per tutto! Link dell'artista: https://www.instagram.com/akiram_jewelry/
- Daniel Guerrero e i suoi copioni
Con Daniel ho condiviso un paio di brainstorming creativi. È stato davvero divertente e mi è servito ad imparare qualcosa sul lavoro dello sceneggiatore. Mi piace tantissimo il brainstorming! È molto divertente e mi sembra un buon modo per iniziare la stesura di un copione, soprattutto se hai la possibilità di condividerlo con altre menti spiritose e ingegnose. Bisogna lasciarsi andare e permettere che nascano tante idee così come sono, senza badare al fatto che siano valide o meno; è una specie di esercizio dadaista. A volte ciò che sale da queste menti può impaurire un po’; qualcuno potrebbe pensare che siamo degli psicopatici o dei depravati. Pensi che avresti qualche problema se questa "cascata" di idee cadesse nella mani della polizia. Però, certo, sono idee che vanno lavorate: un buon brainstorming non si rivela utile se le idee che ne derivano non vengono poi nutrite, modellate, elaborate. “Cosa provi quando crei le tue storie?” (una domanda che non mi permetto di fare mai e che però è stata capita così per un malinteso) Già. Ad ogni modo è stato divertente perché mi ha fatto ricordare la “Teoria del flusso” di Csíkszentmihályi. La nozione per la quale tutto il mondo scompare quando riesci a concentrarti in un’attività creativa. Non sapevo che questo stato mentale avesse un nome, però sapevo che esisteva e mi è servito sempre da bussola: ogni volta che devo svolgere un’attività creativa (come anche un lavoro accademico o una semplice attività fisica) sapevo che se “entrando nel flusso” ero sulla retta via. Già. È una sensazione incredibile. Volevo chiederti, invece: chi sono i tuoi punti di riferimento? Chi ti ispira maggiormente? Parlare di “punti di riferimento” è un po’ complicato perché credo che mi ispiri tutto ciò che mi circonda. Tuttavia, se devo citare degli artisti, allora parlerei di John Irving, il romanziere, per il suo punto di vista controverso; ho ammirato molto la descrizione che ha fatto di alcuni processi sociali. Oppure il cinema di Wilder, Tarantino o Alex de la Iglesia… Penso in fondo, dall’irriverenza. Inoltre sono appassionato di documentari e di saggi e articoli divulgativi… Deduco quindi che la mia fonte di ispirazione principale, per lo meno in un senso astratto, dev’essere semplicemente la curiosità. Apprezzo moltissimo la tua voglia di confrontarti con gli altri. Ti vedo sempre disponibile alla critica quando scrivi un copione o altri tipi di testi. Grazie. Se ho intrapreso un progetto per cui ho speso molte energie, ho bisogno di raccogliere opinioni critiche e guardarlo da altri punti di vista. Questo confronto mi aiuta a chiuderlo, potendo così iniziare a pensare ad altro. È una sorta di necessità psicologica bizzarra. Sinora ho visto l’anteprima del tuo documentario su quel gran pianista che è Rafael Arregui, e mi è piaciuto davvero tanto. Aspettando la sua pubblicazione come anche quella dei tuoi prossimi lavori, ti auguro buona fortuna per tutto. Grazie per aver partecipato. Grazie a te per l’interesse. E grazie anche per la tua “italianità” che mi serve per i copioni. :D