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  • Il tatuaggio a mano di Marika D’Ernest

    Marika vive il suo percorso di tatuatrice come un continuo divenire. La sua passione per il tatuaggio a mano (handpoke o hand poked) è carico di profondità, ispirazioni e connessioni umane. A tuo avviso, il tatuaggio coincide spesso con un “rito di passaggio” tra diversi momenti della propria esistenza. Intendo dire che, non di rado, l’esigenza di farsene uno si manifesta in concomitanza di importanti cambiamenti della propria vita. Mi rifaccio al concetto di “rito” perché, in questo momento, mi sto concentrando sull’aspetto rituale e magico del tatuaggio, ispirandomi a ciò che il tatuaggio rappresentava nell’antica cultura berbera. Inoltre, in quel contesto, veniva praticata dalle donne e per le donne e questo mi rende molto vicina a quell’approccio perché mi affascina tutto quel che riguarda l’energia femminile. A volte coincide con una forma di sberleffo al potere o come ribellione verso certi schemi della nostra cultura. Come ti sei avvicinata a questo metodo tradizionale? Facendomene fare uno nel 2014. Mentre Jenna Bouma mi tatuava, le raccontai dei miei primi tattoo flash (disegni fatti su carta o altri supporti destinati a diventare tatuaggi). Mi trasmise la sua passione autentica e mi incoraggiò ad intraprendere questa strada. A Jenna sono seguiti altri sinceri sostenitori e anche a loro devo molto. Il tempo mi conferma, di volta in volta, che è questo il mio percorso e so di viverlo serenamente perché non smetto mai di imparare. Anche la rete di condivisione e supporto creatasi nel mio ambiente lavorativo ha portato al formarsi di belle amicizie (in Italia come all'estero). Mi sento parte di qualcosa di più grande e poter vivere il mio lavoro così è un vero privilegio. Di tutti i tatuaggi che hai realizzato sino ad oggi, ce n’è qualcuno che ricordi in modo particolare? Una ragazza a cui avevo appena fatto un tatuaggio mi disse: “Ho l’impressione di averlo sempre avuto ed è esattamente quello che volevo. Grazie”. Fu un’emozione indescrivibile. Tuttavia per me conta trasmettere la cultura del tatuaggio: non è soltanto un’arte decorativa e legata all’estetica ma ha radici molto più profonde con la storia di una persona. Non so se ho reso la "non idea". In generale mi piace molto tatuare chi ha un’anima antica, ovvero una persona il cui vissuto va oltre il concetto di tempo. In sua presenza, hai la sensazione di aver condiviso molto di più di quel semplice momento. Le anime antiche le senti, è difficile definirle. Che bello questo concetto! *-* Grazie mille per aver partecipato alle Microinterviste, Marika. Ad maiora! Puoi ammirare i lavori di Marika sul suo profilo Instagram (freccia verso il link) https://www.instagram.com/marika.dernest/

  • I disegni di Roberta Martucci

    Roberta traccia la struttura geometrica dei propri soggetti con sicurezza e rapidità. Tutto il resto viene elaborato direttamente a penna, in un processo lento e graduale. Roberta - La mano procede da sola in un atto di profondo rilassamento: ascoltare il suono cadenzato dello scorrere della penna mentre definisco le sfumature è quasi una meditazione per me. Anche un disegno semplice può richiedere diverse settimane per poter essere completato, poiché lo lascio in attesa che le idee emergano e le strutture grafiche entrino in connessione. Il cranio del soggetto ritratto nell’illustrazione intitolata Free è luogo d’origine di uno stormo di rondini e di una scala mentre una nuvola ci piove dentro. In Asmodeo, invece, la fronte del soggetto del disegno ospita due antenne – o corna? – e il suo sguardo è piuttosto diabolico. Sì. Spesso i miei disegni sono stati definiti inquietanti e onirici, aggettivi apparentemente in contrasto tra loro ma che apprezzo in egual misura. Ritengo che l’essere inquietati e spaventati porti ad una spinta energetica essenziale per l’atto creativo e che la trepidazione sia una componente dei sogni (o, per lo meno, lo è dei miei). Il disegno, insieme alla fotografia, è una parte essenziale della mia vita. Non ho mai preso lezioni in arti visive. Ho lasciato fluire la mia passione e la rappresentazione delle immagini senza darmi limitazioni. Disegnare, per me, è un atto naturale qualsiasi: fa parte delle mie giornate e non è diverso dal fare una foto o guardare un film; per certi versi non è diverso nemmeno dal bere un bicchiere d’acqua. Anche quando non disegno, la mia mente trasforma immagini, film, espressioni di un volto e linee dei corpi in immagini da riprodurre a penna. Alcuni tuoi disegni ricordano foto e immagini d’epoca come anche lo steampunk con la sua fantascienza ottocentesca. Esteticamente sono molto legata alle immagini d’epoca. Amo reinterpretare sotto una nuova luce le foto delle attrici del secondo dopoguerra, come anche le immagini di alcuni studi etnoantropologici e le illustrazioni anatomiche eseguite a mano. Aggiungo dettagli artificiali e naturalistici alle figure umane partendo da disegni preesistenti, come è successo per Think, ad esempio: ho riprodotto per sommi capi il volto del protagonista di un’illustrazione anatomica dei primi del ‘900 e ci ho aggiunto abiti d’epoca, la connessione ad un processore e dettagli pseudo-meccanici del tutto inventati. Per Mechanical mind, invece, ho utilizzato una foto del musicista M. Ward infilando nella sua testa un impianto estrattivo. Penso che nella costruzione del mio immaginario abbiano influito i movimenti surrealisti europei (in particolare quello ceco) e diversi artisti dadaisti. Anche se i punti di riferimento e le fonti di ispirazione sono davvero tante, mi fa piacere menzionare due artiste nello specifico: l’attrice, regista e studiosa di estetica Maya Deren, che incise fortemente sulla definizione del cinema sperimentale, e Kati Horna, una fotoreporter capace di registrare il reale attraverso immagini dal tocco onirico di rara eleganza. Complimenti, Roberta! E grazie per aver partecipato ancora una volta. ♥ (https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/mente-e-corpo-i-colleghi-di-sempre). Resta aggiornato sulle prossime creazioni di Roberta Martucci! ⬇️ https://www.instagram.com/zotiki_anapnoi/ https://www.behance.net/robertamartucci

  • Indossare la propria interiorità attraverso il gioiello: l'oreficeria di Marika Lavecchia

    Le bellissime creazioni di Marika sono il frutto di un’esplorazione da autodidatta nel mondo dell’oreficeria. Per lei il gioiello completa l’interiorità di chi lo indossa, come se fosse un tatuaggio mobile. Per te il gioiello non deve renderci belli solo fuori… Esatto. Penso che il consumismo faccia nascere spesso in noi il desiderio illusorio di avere cose che in realtà non necessitiamo. In controtendenza con questo approccio, quando devo realizzare un gioiello chiedo ai miei acquirenti di focalizzarsi sulla propria dimensione intima. All’autoritratto che ognuno fa di sé stesso pongo delle domande: “Qual è la tua bellezza?”. Oppure: “Qual è quell’aspetto di te che vuoi sfoggiare o mettere in mostra?”. Non deve essere necessariamente una virtù, potrebbe trattarsi anche di una debolezza. Mi farebbe piacere se, una volta indossato, il gioiello ti facesse sentire più bella fuori ma anche più sicura dentro. Come se fosse una sorta di esorcismo delle proprie paure: le rendi tangibili e, in questo modo, anche più gestibili, maneggiabili. Cosa ti soddisfa di più del tuo lavoro? La maggior parte dei gioielli che ho realizzato sinora vengono indossati dai miei acquirenti ogni giorno. Questa per me è una gran cosa perché significa che sono riuscita a fissare il loro punto focale. Mi piace davvero tanto la tua visione dei gioielli! E sono molto curiosa di scoprire qual è il mio punto focale (se mai, nel mio caos, riuscissi ad individuarne solo uno XD). Negli ultimi anni mi sono resa conto che apprendere una disciplina o un’arte può influire molto sull’idea che abbiamo del tempo, cugino di primo grado della santa pazienza. Già. E per il mio lavoro ce ne vuole parecchia: modellare un metallo ti impone il rispetto di tempi ben precisi tra riscaldamento, raffreddamento, impiego di acidi… In più, vanno calcolati gli incidenti di percorso: può capitare che, sull’ultima saldatura, avvengano fusioni insperate. Con la santa pazienza di cui sopra, va rifatto tutto da capo. Parallelo all’aspetto tecnico del mio lavoro è il costante studio della chimica e della geometria, a cui aggiungo letture sulla filosofia alchemica, trovandole di grande ispirazione per il processo creativo. Inoltre a breve inizierò a seguire un Master in Design del Gioiello presso l’Italian Design Institute di Milano, corso che ho scelto non solo per acquisire nuove tecniche, ma anche per imparare ad utilizzare dei software per la modellazione 3D. L’oreficeria, oltre all’importanza delle tempistiche, mi ha insegnato a staccarmi dal mondo. Non so se considerarlo un aspetto del tutto positivo perché nella vita personale può creare qualche problema. Ma imparare a prendere del tempo per me stessa è stato e resta un “effetto collaterale” del mio mestiere che apprezzo molto. Grazie per aver condiviso tutto ciò su Scream of Consciousness, Marika! Attendo tuoi aggiornamenti e in bocca al lupo per tutto! Link dell'artista: https://www.instagram.com/akiram_jewelry/

  • Daniel Guerrero e i suoi copioni

    Con Daniel ho condiviso un paio di brainstorming creativi. È stato davvero divertente e mi è servito ad imparare qualcosa sul lavoro dello sceneggiatore. Mi piace tantissimo il brainstorming! È molto divertente e mi sembra un buon modo per iniziare la stesura di un copione, soprattutto se hai la possibilità di condividerlo con altre menti spiritose e ingegnose. Bisogna lasciarsi andare e permettere che nascano tante idee così come sono, senza badare al fatto che siano valide o meno; è una specie di esercizio dadaista. A volte ciò che sale da queste menti può impaurire un po’; qualcuno potrebbe pensare che siamo degli psicopatici o dei depravati. Pensi che avresti qualche problema se questa "cascata" di idee cadesse nella mani della polizia. Però, certo, sono idee che vanno lavorate: un buon brainstorming non si rivela utile se le idee che ne derivano non vengono poi nutrite, modellate, elaborate. “Cosa provi quando crei le tue storie?” (una domanda che non mi permetto di fare mai e che però è stata capita così per un malinteso) Già. Ad ogni modo è stato divertente perché mi ha fatto ricordare la “Teoria del flusso” di Csíkszentmihályi. La nozione per la quale tutto il mondo scompare quando riesci a concentrarti in un’attività creativa. Non sapevo che questo stato mentale avesse un nome, però sapevo che esisteva e mi è servito sempre da bussola: ogni volta che devo svolgere un’attività creativa (come anche un lavoro accademico o una semplice attività fisica) sapevo che se “entrando nel flusso” ero sulla retta via. Già. È una sensazione incredibile. Volevo chiederti, invece: chi sono i tuoi punti di riferimento? Chi ti ispira maggiormente? Parlare di “punti di riferimento” è un po’ complicato perché credo che mi ispiri tutto ciò che mi circonda. Tuttavia, se devo citare degli artisti, allora parlerei di John Irving, il romanziere, per il suo punto di vista controverso; ho ammirato molto la descrizione che ha fatto di alcuni processi sociali. Oppure il cinema di Wilder, Tarantino o Alex de la Iglesia… Penso in fondo, dall’irriverenza. Inoltre sono appassionato di documentari e di saggi e articoli divulgativi… Deduco quindi che la mia fonte di ispirazione principale, per lo meno in un senso astratto, dev’essere semplicemente la curiosità. Apprezzo moltissimo la tua voglia di confrontarti con gli altri. Ti vedo sempre disponibile alla critica quando scrivi un copione o altri tipi di testi. Grazie. Se ho intrapreso un progetto per cui ho speso molte energie, ho bisogno di raccogliere opinioni critiche e guardarlo da altri punti di vista. Questo confronto mi aiuta a chiuderlo, potendo così iniziare a pensare ad altro. È una sorta di necessità psicologica bizzarra. Sinora ho visto l’anteprima del tuo documentario su quel gran pianista che è Rafael Arregui, e mi è piaciuto davvero tanto. Aspettando la sua pubblicazione come anche quella dei tuoi prossimi lavori, ti auguro buona fortuna per tutto. Grazie per aver partecipato. Grazie a te per l’interesse. E grazie anche per la tua “italianità” che mi serve per i copioni. :D

  • Gli alter ego digitali di Occhio e ciclone

    Per sopperire all’impossibilità di viaggiare e avere contatti con amici e parenti, Angela Moliterni dà vita a delle illustrazioni digitali sotto il nome di Occhio e ciclone. I tuoi acquirenti si sentono rappresentati nei loro alter ego digitali, nonostante i tuoi disegni siano molto minimal. Esatto! Si riconoscono e spesso ne vedono anche la versione più bella. L'entusiasmo con cui si rispecchiano nelle proprie versioni virtuali è il carburante del mio progetto. Per interpretare l’immagine di una persona, ne studio tratti somatici e peculiarità del corpo. Solo così posso restituire un avatar quanto più simile all’originale. Ma come mai hai scelto proprio questo nome? Occhio e ciclone è un mio viaggio introspettivo: il ciclone e il suo occhio rappresentano, rispettivamente, le gioie e le amarezze, i picchi di felicità e di tristezza e tutte le sensazioni contrastanti che proviamo nell’arco della nostra vita. Chi si ostina a rifiutare la realtà in cui vive è, per me, come quegli oggetti divelti e trasportati dalla furia del ciclone: in uno stato di eterna lotta. Di qui, l’istintiva ricerca di pace mentale ed equilibrio. In quel caos, l’unico punto in cui l’aria è calma – e quindi l’unica via di salvezza – risiede nell’occhio del ciclone. Il progetto, in qualche modo, è legato anche ad un discorso più ampio sull'apparenza, è così? Penso che, oggettivamente, l’apparenza giochi un ruolo importante nella società in cui viviamo. Il mio vissuto personale, poi, non ha fatto altro che amplificare questa sensazione. A 13 anni, l’80% del mio corpo è rimasto ustionato durante un brutto incidente. Sulla mia pelle sono ancora visibili molte cicatrici, mentre nei miei ricordi porto dozzine di interventi, mesi e mesi in ospedale e una costante riabilitazione. È stato difficile andare avanti, amarsi e accettarsi in una società come la nostra. Credo che tutto ciò, inconsciamente, c’entri con lo spirito e lo stile di questo progetto. Durante le feste natalizie 2020 hai creato un piccolo network di artigiani locali. Che bella iniziativa! Grazie! Io e la mia amica Claudia Olivieri abbiamo pensato di promuovere l'artigianato locale in un momento strategico per il mondo dei regali. Tramite post e storie su Instagram, ogni artista ha sponsorizzato tre colleghi del territorio innescando una vera e propria reazione a catena e, di conseguenza, una rete di sostegno reciproco (chi è Claudia? https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/leaf-thief-foglie-e-fiori-da-indossare). Questa iniziativa, supportata anche da due blog di Bari (Borderline24 e WhatsupinPuglia), mi ha dato modo di conoscere tante personalità splendide del territorio, incentivando la formazione di nuove collaborazioni artistiche. Grazie, Angela! ♥︎ https://www.instagram.com/occhio_e_ciclone/

  • Uno sguardo sull'estetica del quotidiano con Roberta Martucci

    Roberta Martucci è attualmente borsista presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, impegnata nel seguire una serie di cicli di seminari riguardanti principalmente la filosofia Estetica. Parlare d’estetica presuppone delle specificazioni, in genere. Esatto, perché generalmente si pensa che l’estetica si limiti ad una filosofia dell’arte o ad una teoria del sentire in relazione all’artefatto, quando – in realtà – rappresenta un metodo d’indagine estremamente ampio, applicabile alla quotidianità molto più di quanto si pensi. L’idea più comune di estetica tende a rimarcare l’adesione a una dottrina del bello e all’esercizio del gusto piegato ai canoni correnti. Questo porta a riconoscere nel solo artefatto - ritenuto o meno un’opera d’arte - una fonte di piacere e di intrattenimento. Tu, invece, sei maggiormente focalizzata su un altro ambito dell’estetica. Sì, mi interessa capire le dinamiche del conoscere percettivo alla base dell’esperienza estetica e i rapporti di relazione tra il corpo, la mente e gli oggetti. Tutto parte dall’analisi del verbo aisthánomai (dal greco, ‘percepisco coi sensi’) col quale si fa riferimento ad un percepire vigile, un intendere e scorgere con intelligenza; il corpo si accorge di quel che sente e dà inizio a una piena conoscenza del mondo tramite i sensi. Viene così superata quella divisione così netta – e gerarchica – tra il mero sensibile e l’elevata attività intellettuale. Tutto ciò si connette alla sfera degli studi sull’embodied cognition (‘cognizione incarnata’), secondo cui la mente, poiché incarnata, è inscindibile dal corpo fisico e dall’interazione di questo col mondo. Quando parli di “interazione col mondo”, intendi il mondo in senso lato, dal macro al micro? Sì. Al centro di questa visione dell’estetica vi è proprio la sinergia costante tra il “corpo-mente conoscente” e gli oggetti con cui interagisce ogni giorno. Volendo rendere tutto più tangibile, basti pensare al rapporto tra umani e tecnologia. Quello che di norma consideriamo troppo banale per essere associato all’idea aulica di opera d’arte, è oggetto d’analisi nell’estetica del quotidiano, che comprende tanto il piano della vita sociale quanto il più piccolo oggetto del routinario. A tal proposito mi viene in mente una forma di comunicazione visiva riconducibile sia ai sistemi di produzione artistica che ai momenti di vita meno significativi, ovvero la fotografia. Riconducendolo all’entità “corpo-mente” e all’estetica del quotidiano, la possibilità di scattare enormi quantità di fotografie cosa ti suggerisce? Nell’immediato mi porta alla mente le parole ‘istantaneo’, ‘istante’ ed ‘istantanea’. Lo smartphone, costantemente presente nelle nostre vite, dal lavoro ai momenti di svago, permette che innumerevoli istanti si traducano in immagini. Questo fenomeno, unito al web e alla comunicazione insita in esso, porta a delle conseguenze. Per citartene solo un paio: il nostro spazio quotidiano percepito dai sensi si amplifica, includendo anche quello “virtuale”; in più, le immagini personali riprogrammano la percezione del nostro corpo, avendo un impatto sostanziale nel sistema delle relazioni cognitive e, dunque, interpersonali. Già… Ci serviamo di un nuovo modo per “sentire” sia il mondo esterno che noi stessi, in una sorta di nosce te ipsum digitale. Grazie per aver partecipato, Roberta! ♥︎ (se ti va di leggere un'altra Microintervista fatta a Roberta Martucci sui suoi disegni, clicca qui ➡️ https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/i-disegni-di-roberta-martucci)

  • Vincenzo Rutigliano e le regole dell'Ultimate

    Vincenzo gioca nella squadra Shamanìn da circa due anni. Mi racconta alcuni aspetti fondamentali di questo sport di squadra importato dagli USA negli anni ’70. Come sei venuto a conoscenza del gioco dell’Ultimate? È stato grazie a Giuseppe Lobaccaro, un giocatore di Ultimate che aveva conosciuto questo sport a Torino, praticandolo per due anni nella squadra locale degli AUT. Quando è tornato a Gravina (Ba), nel 2019, ha cercato persone che nutrissero lo stesso interesse. E non ha faticato a trovarne. Ed eccoci qua. Mi accennavi che, tra le regole del gioco, osservate lo “Spirit Of The Game”… Esatto, si tratta della prima voce del regolamento. Con Spirit Of The Game (SOTG) intendiamo i valori impliciti dell’Ultimate. Te ne cito solo alcuni: conoscere e applicare le regole; evitare falli e contatto fisico; comportarsi in modo leale e corretto (con imparzialità e onestà); avere un buon autocontrollo e un atteggiamento positivo (ad esempio presentandoti, complimentandoti con gli avversari per le buone giocate, ringraziando per la partita); comunicare in maniera efficace, rispettando il proprio interlocutore. Questi sono i punti tramite i quali valutiamo la squadra avversaria: l'Ultimate è uno sport autoarbitrato, dove manca l'Ufficiale di gara. La squadra con lo spirito migliore vince un premio che, nella maggior parte dei casi, è simbolico. Inoltre, data la tipologia del nostro sport, abbiamo il privilegio di poter giocare in squadre miste, promuovendo la gender equity. Di fatti, allenatori e allenatrici cercano di mantenere la formazione delle squadre quanto più mista possibile. Progetti in arrivo? Tanti. Come squadra e come associazione, noi della Shamanìn puntiamo a diffondere l’interesse per l’Ultimate nelle zone limitrofe (tra Puglia e Basilicata), auspicando la nascita di nuove formazioni e – perché no? – di tornei locali di grande importanza. Inoltre un tema importante come la gender equity, unitamente all’attenzione per il dialogo insito nel nostro regolamento, potrebbero trovare nell’istruzione pubblica un ottimo campo d’azione. Anche l’inclusione è un tema che ci sta a cuore. A tal proposito, inserendoci in iniziative indette dal Comune per il sociale, stiamo partecipando alla creazione di un percorso di disc golf nell’area del Bosco di Gravina. Si tratta di una disciplina del frisbee in cui i giocatori lanciano un disco in un bersaglio che solitamente è un cesto. Coinvolgere anche le persone in sedia a rotelle è la finalità di quest’iniziativa. Spero possiate realizzare tutti i progetti che avete in mente. Se qualcuno vuole saperne di più può contattare Vincenzo tramite i seguenti link: https://www.instagram.com/shamanin_ultimate_gravina/ https://www.facebook.com/shamanin.ultimate.gravina Grazie per aver partecipato a Le Microinterviste su Scream of Consciousness!

  • Daniel Guerrero y sus guiones

    He compartido un par de brainstormings creativos con Daniel. Ha sido algo muy divertido y me ha servido para aprender algunas cosas sobre el trabajo de escritura de guiones. ¡Me encanta el brainstrorming! Sí, es muy divertido. Y muy bien comienzo, sobre todo si tienes opción de compartirlo con otras mentes ocurrentes e ingeniosas. Básicamente trata de soltarse y dejar que surjan tantas ideas como sean precisas sin importar si son válidas o no; es una suerte de ejercicio dadaísta. A veces puede dar un poco de miedo lo que sale de esas cabezas, alguien podría pensar que somos unos enfermos o unos depravadados, y piensas que te traería problemas si ese conjunto de ideas volcadas cayeran en manos de la policía. Pero por supuesto que hay que trabajar esas ideas: de nada sirve un buen brainstorming si las ideas resultantes no son posteriormente nutridas, moldeadas y reflexionadas. “¿Qué sientes a la hora de crear tus historias?” (una pregunta que nunca me atrevo a hacer pero que por un malentendido se percibió así). Ya. Bueno, ha sido gracioso en cualquier caso porque me evocó la “Teoría del flujo” de Csikzentmihalyi. O sea, la noción de que el mundo desaparece cuando logras ensimismarte en una tarea creativa. No sabía que ese estado mental tenía ese nombre, pero sabía que existía y siempre me sirvió de brújula: a la hora de desarrollar una tarea creativa, o incluso el trabajo académico o la simple actividad física, sabía que si “entraba en el flujo” entonces estaba en el camino correcto. Ya. Es una sensación increíble. Lo que quería preguntar tenía más que ver con los que te inspiran, con tus referentes. Hablar de “referentes” con precisión es un poco complicado porque creo que me influye todo lo que me rodea. Aunque si hay que citar a artistas, pues hablaría de John Irving, el novelista, por la mirada controversial que le he apreciado a la hora de describir procesos sociales. O el cine de Wilder, Tarantino o Alex de la Iglesia; son estilos muy diferentes pero en el fondo creo que les une la irreverencia. Por demás soy muy aficionado a ver documentales y a leer ensayos y divulgativos… Deduzco entonces que mi referencia principal, al menos en sentido abstracto, tiene que ser, simplemente, la curiosidad. Aprecio muchísimo tus ganas de enfrentarte con los demás. A la hora de escribir un guion u otro tipo de texto, siempre te veo disponible a la crítica. Gracias. Si me he embarcado en un proyecto que me ha exigido mucho, necesito enseñarlo, recabar opiniones críticas y mirarlo desde otros puntos de vista. Además me ayudar a cerrarlo, a darle punto final y poder empezar a pensar en otra cosa. Es como una especie de necesidad psicológica extraña. Hasta ahora he visto el pre-estreno de tu documental sobre el gran pianista que es Rafael Arregui y me ha encantado. Esperando su publicación y la de tus próximos trabajos, te deseo suerte en todo. Gracias por participar. ♥︎ Gracias a ti por interesarte. Y gracias también por tu italianidad, que también me sirve para los guiones :D

  • Alec Willis, chitarrista flamenco

    Alec è originario di Boston (Massachusetts). A Siviglia ha frequentato la Fundación Cristina Hereen per cinque anni. Adesso insegna, studia e accompagna classi di flamenco in alcune scuole di Siviglia e dintorni, come ad esempio l'Academia de flamenco Manuel Betanzos e la scuola Artes Escénicas Rebollar. Secondo te il flamenco è un veicolo per la creatività nel quale si può percepire in maniera chiara la personalità di ognuno. Assolutamente. Ognuno nel flamenco esprime sé stesso in un modo personale, così come avviene per la voce. Ci sono regole e strutture che devono essere rispettate, certo, ma essere unici è quasi inevitabile! Sevilla gioca un ruolo molto importante nella preparazione di uno studente flamenco. Nessun altro posto nel mondo è come Sevilla: ci sono molti aspetti importanti del flamenco a cui non puoi accedere altrove. Dobbiamo essere disposti a sfidare le nostre aspettative sul flamenco. Prima di venire qui, ci siamo fatti un'idea del flamenco tramite video visti su Youtube e storie ascoltate in giro. La tua idea del flamenco cambia quando ci sei intorno fisicamente e quotidianamente. Lo rivaluti quando sei esposto anche alle sue parti meno fascinose, come ad esempio studiare ogni giorno per ore e ore e lavorare sodo. Sono d'accordissimo con te. Come ti sei sentito quando ti sei trasferito a Siviglia? Adattarsi ad una nuova cultura per me è stato difficile. Mi ci è voluto del tempo per capire sia il modo in cui le persone si relazionano tra loro che la loro mentalità aperta. Il flamenco è molto connesso alla cultura dell’Andalusia e integrarsi tra la gente del posto è essenziale per capirlo. Come mi hai detto, non c’è da annoiarsi per un chitarrista – e, in generale, per uno studente – flamenco. Ci sono così tanti aspetti: tecnica, repertorio, accompagnamento al cante, accompagnamento al baile, storia… Non c’è abbastanza tempo per studiare e fare tutto! E una volta che hai terminato la tua sessione di studio, puoi ascoltare un po' di cante nel bar in fondo alla strada o delle vecchie registrazioni su YouTube. Il flamenco si è evoluto così tanto che c’è davvero troppo materiale da ascoltare in una sola vita! Puoi ricordare la tua prima performance? Com’è stata? È stato un momento molto importante. Era la prima volta che suonavo in pubblico e, tra l'altro, senza aver fatto le prove. Io, un cantante e un bailaor ci siamo incontrati 5 minuti prima di salire sul palco e solo in quel momento ho ripassato i palos (“stili”) che avremmo rappresentato: “Gabriel ballerà por Soleá e Tientos; Fernando canterà por Malagueña e Alegría”* (G.Aragú, F. Caballo). Certo, in molti momenti ho pensato di dover tornare a casa a studiare tutto quello che stavo suonando. Ma esser stato in grado di farlo bene al primo colpo è qualcosa di cui vado fiero. Ad ogni modo penso che anche se fai qualcosa per un migliaio di volte, è sempre importante continuare a imparare. Grazie, Alec! ♥︎ Resta aggiornato sulle creazioni e performances di Alec Willis! ⬇️ Instagram: https://www.instagram.com/alecwheelies/ YouTube: https://www.youtube.com/user/AlecWillisMusic/videos *In super sintesi: se un interprete balla, canta o suona "por Soleá" significa che eseguirà una performance o un esercizio in armonia con le caratteristiche di quel palo ("stile", in questo caso la soleá). Dovrà quindi rispettare una determinata struttura e - inevitabilmente - accordarsi a un determinato mood.

  • Mettersi a nudo senza troppi giri di parole: la musica per Francesco Moramarco

    Francesco si dedica allo studio della chitarra jazz da quando era giovanissimo. Il master in Film Scoring presso la scuola di formazione Adsum di Lecce è solo l’ennesimo step di un percorso di studi che dura da anni. Quand’è stata la prima volta che hai sentito il suono della chitarra elettrica? Era il ’96 (avevo circa 11 anni) ed ero seduto in un vecchio bar su una spiaggia quando, ad un certo punto, rimbombò dagli altoparlanti un pezzo “strano”: il suono della chitarra elettrica non mi era ancora noto e ne fui letteralmente folgorato. Scoprii solo più tardi che avevo ascoltato “Ritmo” dei Litfiba e, in essa, la chitarra di Ghigo Renzulli. La gente che era lì intorno si mise a ballare, divertendosi. Quell’allegria, unita alla mia curiosità verso lo strumento “ignoto”, furono determinanti: decisi così di voler diventare un chitarrista. Di lì a poco iniziai a studiare musica. Ed eccomi qua. Mi hai nominato sempre con molto piacere il Maestro Domenico Caliri. Certo, è un grande chitarrista e insegnante che mi ha dato tanto sia dal punto di vista musicale che umano. C’è una frase del Maestro Caliri che, secondo me, riassume l’importanza data alla musica - comparandola quasi a una divinità - e la relazione che noi musicisti dovremmo assumere nei suoi confronti: “La musica non è di nessuno: noi siamo dei messaggeri e abbiamo il ruolo e il dovere di portare questo messaggio in giro e a tutti”. A proposito di studio, ci siamo conosciuti quando eri rientrato da poco dall’Olanda. So che è stata un’esperienza molto bella e formativa da più punti di vista. Sì, lì mi sono reso conto di quanto sia potente il linguaggio musicale: grazie alla musica ci può essere una comunicazione profondissima, usando davvero poco la lingua parlata. In virtù di questo, nei primi periodi ho potuto conoscere gente di tutto il mondo, molto prima d’aver raggiunto un buon livello d’inglese. E lì hai messo su un trio… …con un musicista iraniano al contrabbasso (Mohammad Fattahi) e una cantante giapponese (Waka Otsu). Ben presto io e Waka abbiamo fondato un duo col nome Crack Anew Sofa, anagramma di Waka e Francesco. La musica ha unito tre latitudini diverse del mondo. Ci siamo capiti sin da subito, anche quando le conversazioni erano scarne. La musica per me è mettersi a nudo senza giri di parole. Con sincerità e onestà, puoi trasmettere sensazioni e sentimenti a tutti, partendo dal bambino in prima fila che ti sorride al bel viso lì in fondo. L’intrattenimento dal vivo…che bel ricordo! Già… Il momento storico è quel che è e spinge a compiere delle riflessioni sulla figura professionale del musicista. Anche prima dell’arrivo del Covid, in realtà, il musicista era associato al mondo del precariato; per questo, scegliere la musica come strada professionale appariva – e continua ad apparire – una follia in quanto si corrono dei rischi. Nonostante tutto penso valga la pena correrli. Ti ringrazio per aver partecipato a questo Scream of Consciousness, Francesco. Ad maiora! https://www.facebook.com/Francesco-Moramarco-Guitar-956666141138244/ https://www.instagram.com/francesco.moramarco_guitar/ https://youtube.com/channel/UCfn-UoEiU8_1sENEDRNqOKA

  • Morelli Gioielli: l'oreficeria etnica di Mario Morelli

    La passione per le arti orafe delle culture più disparate ha portato Mario a disporre di un bagaglio di tecniche davvero ampio. "Tutto fa esperienza e ti completa". E le sue creazioni ne sono una testimonianza. Ti sei formato in un quartiere significativo per il tuo ambito: il Borgo Orefici (Napoli). È una realtà piuttosto antica, vero? Certo, lì si sono formati tutti gli orafi che hanno prodotto gran parte del Tesoro di San Gennaro. È stata una zona molto fiorente per l’oreficeria napoletana tra il XV e XVI secolo, restando tale fino a non molto tempo fa. Lì ha avuto luogo gran parte del mio percorso formativo, durato dai 14 ai 28 anni. Il mio maestro era un uomo piuttosto severo; quando c’era lui non volava una mosca e non gli mancavano scatti d’ira. Allo stesso tempo, però, trasmetteva grande serietà e dedizione. Mi seguiva personalmente, per tre o quattro ore al giorno, servendosi di una tecnica d’apprendimento infallibile: l’errore. Non spiegava molte cose, preferiva che mettessi le mani in pasta commettendo sbagli. Attraverso quelli avrei capito. Nella tua formazione confluiscono diverse tradizioni dell'arte orafa. Esatto. Quella francese con la sua distintiva tecnica relativa agli incastri (‘griffe’) e quella africana che è un po’ la madre di tutte le altre scuole: l’arte orafa nasce in Africa per svilupparsi in Europa con perfezionamenti e mutamenti della forma originaria. In più ho studiato e mi sono lasciato ispirare dai grandi Maestri dell’antichità, tra arte etrusca, greca e romana. Ma qual è la differenza sostanziale tra la gioielleria classica e quella etnica? L’alta gioielleria (anche detta “francese”) impone l’utilizzo di determinate tecniche per raggiungere un risultato ben preciso. Nella gioielleria etnica le cose si possono raggiungere in modi diversi, personalizzati. Sono due mondi totalmente diversi. E tu preferisci la seconda. Più che altro mi emoziona un po’ di più. Ma adoro la gioielleria francese, più classica. Sono solo cose diverse. Mi dicevi che buona parte della tua clientela è estera. Sì, i miei acquirenti sono maggiormente giapponesi, russi, francesi, arabi e spagnoli. Ho notato che i giapponesi apprezzano davvero tanto la gioielleria artigianale. Riconoscono e ammirano con rispetto il lavoro di precisione e attenzione che caratterizza il mio lavoro. Una distrazione durante la saldatura compromette la struttura dell’intero gioiello costringendoti a doverlo fare da capo. A questo si aggiunge il rischio di scottarsi: le temperature del cannello e della forgia vanno oltre i 1000°. Certo è che alla fine si hanno grandi soddisfazioni, a volte così grandi che può capitare di far fatica a separarsi dalle proprie creazioni. A distanza di molto tempo ricordo ancora – vividamente – due orecchini fatti di sfere di vetro di Murano ingabbiate in oro. Il tempo non ha rimosso il piacere di quella creazione. Fu altrettanto piacevole, nel 2018, la realizzazione di un bracciale, orecchini crotalia e amuleti (la bulla e la lunula) su imitazione di alcuni monili rinvenuti ad Ercolano e Pompei. Si rivelò un’ottima occasione per tornare a studiare forme d’arte ed artigianato dei maestri del passato. Che meraviglia... Voglio una lunula anch’io! Grazie mille per aver partecipato, Mario. A presto! Per ammirare le sue creazioni -> https://www.instagram.com/morelli_gioielli_/

  • Marco Cuna e il 3D della SolidEngineering Srl.

    Marco mi racconta alcuni aspetti del suo lavoro - tra vendita e assistenza clienti - presso l'azienda che promuove tecnologia 3D in tutto il Sud Italia sin dal 1997. Come hai conosciuto quest’azienda? Durante gli anni dell’università, partecipai ad un progetto per la costruzione di una macchina da corsa. Tra i vari software di progettazione meccanica, ci servimmo di Solidworks. Proprio in quel periodo, la SolidEngineering Srl - che era tra i nostri sponsor - stava cercando qualcuno che sapesse utilizzare questo software. Mi sembrò un’ottima occasione lavorativa e mi ci candidai. Da quel momento lavoro per loro nel reparto tecnico. Il vostro mondo gira fondamentalmente intorno al 3D, giusto? In qualche modo sì. Ci occupiamo essenzialmente di rivendita, formazione e supporto tecnico di vari prodotti, tra cui – andandone fieri – stampanti e scanner 3D. Sono strumentazioni che apportano enormi vantaggi alle aziende che se ne servono. Ad esempio, con lo scanner 3D si possono digitalizzare forme tridimensionali: acquisire, replicare e modificare l’oggetto, o anche solo farne una verifica dimensionale, cioè un controllo qualità. Tutto ciò prevede l’utilizzo di Solidworks, che corrisponde al corebusiness della SolidEngineering Srl. Tu hai il ruolo di spiegare come funziona Solidworks ai tuoi potenziali clienti, è così? Esatto. Ho il ruolo di interfacciarmi con i proprietari o progettisti delle aziende. Quindi lo spirito del mio lavoro sta nel rendere facile l’utilizzo di un software molto articolato (composto da più moduli), unendo all’aspetto tecnico quello più umano della relazione col pubblico. Creare un’affinità con il cliente è l’aspetto che più adoro del mio lavoro. Può capitare un po’ di diffidenza in questo tipo di contrattazione e lo ritengo normale. Parliamo di investimenti importanti. Ma altrettanto spesso mi relaziono a clienti e partner davvero cordiali e amichevoli. E questo mi entusiasma. Inoltre, durante l’assistenza tecnica, salvare un cliente da un’impasse che gli comporterebbe perdite economiche e stress è per me molto soddisfacente. Dietro le cose più banali c’è un intero mondo, mi dicevi. Esatto! Ci sono una serie di problematiche, studi e lungo lavoro dietro cose che diamo per scontato. Mi è capitato di lavorare con un’azienda che produce scarpe anti infortunistiche. Tra i vari step utili alla loro produzione, c’è un test di laboratorio in cui la punta delle scarpe deve resistere alla forza di un masso di 20 kg in caduta. In generale, calzature, aerei, accessori moda…qualsiasi oggetto ha un suo mondo alle spalle. Ho visto una foto in cui sorreggi un premio! Di che si tratta? A febbraio del 2020 sono stato premiato dalla Solidworks con il titolo di Elite Application Engineer, avendo acquisito un numero elevato di certificazioni (Nashville, USA). Complimenti! Ad maiora! ps: Marco mi ha passato questo video affinché io avessi un'idea più concreta circa il funzionamento dello scanner 3D. Ma che figata! https://www.youtube.com/watch?v=104xUQ9PXt8&ab_channel=Creaform pps: per saperne di più potete contattare Marco tramite Direct: https://www.instagram.com/marcovcuna/

  • Alec Willis, a flamenco guitarist living in Seville

    Alec is originally from Boston, Massachusetts. In Sevilla he attended the Fundación Cristina Hereen for 5 years. He is currently teaching, learning, and accompanying flamenco classes in schools around Seville, for example at Artes Escénicas Rebollar or Academia Manuel Betanzos. According to you, flamenco it’s a vehicle for creativity where you can clearly notice everybody’s personality. Yes, absolutely. Everyone in flamenco express themselves in a personal way, just like everyone has their own speaking voice. There are rules and structures that must be respected of course, but being unique is almost unavoidable! Sevilla plays a really important part in the training of a flamenco student. Nowhere else in the world is like Sevilla: there are many important aspects of flamenco that you can’t access anywhere else. We have to be ready to have our expectations of flamenco to be challenged. Before coming here, many of us have our own idea of what flamenco is because we watch videos on YouTube and hear stories. Your idea of flamenco changes when you are physically around it everyday. You get a new appreciation for it when you are exposed to the parts that are not so glamorous, like studying for hours every day, and working very hard. How did you feel when you moved to Seville? Adapting to a new culture was difficult. You have to take time to understand the way the people relate to each other, and be open-minded when making friends. Flamenco is very connected to Andalusian culture, and socializing/integrating with people from Andalusia is essential to understanding it. As you told me, it doesn’t get boring for a flamenco guitarist (for a flamenco student, I would say) There are just so many aspects to it; technique, repertoire, singing accompaniment, dance accompaniment, history… There isn’t enough time to study and do all of them! And when you are all done, you have just to listen to it from people singing at the bar down the street, or find old recordings on YouTube. Flamenco has evolved so much, and there is too much to listen to in one lifetime. Can you remember your first performance? How was it? A very important moment for me was my first performance without rehearsing. Just me, one singer and one dancer. We met 5 minutes before going on stage and just went over the styles we were going to perform. “Gabriel will dance Soleá and Tientos and Fernando will sing Malagueña y Alegría" (G.Aragú and F.Caballo). Of course, there were many moments that made me think I had to go home and study all this stuff better. But being able to do it successfully in the first place was something that I was so proud of. By the way I think that even if you do something a thousand times, it is always important to keep learning. Thanks, Alec! And good luck for your amazing path in the flamenco world. Let’s stay up to date with Alec’s creations: Instagram: https://www.instagram.com/alecwheelies/ YouTube: https://www.youtube.com/user/AlecWillisMusic/videos

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