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- Il Pilates per Roberta Catanzaro
A conclusione del suo percorso universitario in Scienze motorie sportive e della salute presso l’Università Carlo Bo di Urbino, Roberta ha discusso la sua tesi su “Il Pilates applicato al trattamento della lombalgia”. E lì è iniziato il tuo percorso nel pilates. Sì. È stato amore a prima vista. Appena terminati i miei studi presso l'università mi sono specializzata in Pilates Matwork con la Federazione Italiana Fitness (FIF) per poi proseguire con la certificazione in Functional Training e Pilates Aereo. Con il tempo ho arricchito le mie conoscenze certificandomi anche nell'insegnamento della Postural Yoga Teraphy presso la Fitness Best Innovation) e della Booty Barre presso la Balance Body. Attualmente lavoro presso una scuola di danza e uno studio di fisioterapia applicata allo sport. Non ho ancora un centro tutto mio ma fondarne uno è sicuramente tra i miei progetti! Che bello, aggiornami! Se ho ben capito, il focus principale del pilates è la colonna vertebrale… Esatto. Mantiene il corpo in equilibrio e fa sì che le articolazioni mantengano un corretto allineamento, dando al corpo un benessere generale. Secondo Joseph Pilates, se la tua colonna vertebrale è inflessibile e rigida a 30 anni, sei vecchio; se gode di buona flessibilità a 60, sei giovane. Inoltre aiuta nella guarigione dalle malattie croniche e nella riabilitazione a seguito di infortuni. Lo studio della danza ti è tornato utile nel pilates? Certamente, e non solo per una questione di elasticità: la danza mi ha insegnato anche il significato di disciplina - strumento rivelatosi utile anche in altri ambiti della vita. Credo il pilates sia questo: disciplina e costanza. Non fornisce pozioni magiche ma è una pratica che, solo con dedizione e sacrificio, può apportare i tanto desiderati cambiamenti. La disciplina, tra l’altro, è una qualità che J. Pilates rimarca in ogni sua parola, nei suoi testi ed esercizi. È fondamentale per ottenere i benefici del metodo, in termini di allineamento, consapevolezza corporea, attivazione muscolare, rilassamento, flessibilità, riequilibrio posturale, etc. Che meraviglia! Dare lezioni è a sua volta una pratica e, spesso, aiuta a prendere più consapevolezza della disciplina a cui ci si dedica. Senza ombra di dubbio. Con gli anni io stessa ho riscoperto l’essenza del Pilates! Ho capito, per esempio, che cercare la perfezione assoluta nei propri clienti – quasi in modo ossessivo – non è la strategia vincente. Penso che il primo obiettivo di noi istruttori sia quello di insegnare loro a muoversi in maniera corretta, rendendo le loro vite qualitativamente migliori. Inoltre, ho potuto sfatare il mito secondo il quale il Pilates sia per sole donne o sia una ginnastica dolce. Quest’ultima - al massimo - può essere integrata col Pilates, non sostituita. Col tempo ho valutato molto il viaggio e il confronto con altre realtà. Penso siano gli ingredienti indispensabili per essere un buon insegnante. Auguriamoci di poter tornare presto a viaggiare (per la formazione e non solo)! Grazie per aver partecipato a Le Microinterviste, Roby. Roberta al momento offre lezioni online. Presto tornerà a dare lezioni dal vivo tra Gravina e Altamura (BA). Per saperne di più puoi contattarla su Direct: https://www.instagram.com/roberta_pilatestrainer/
- Io Sono C: le illustrazioni collettive dell’inconscio
C’è sempre qualcuno che, dietro l’angolo o dall’altra parte del mondo, sta provando le tue stesse emozioni e ha bisogno di parlarne. Angela Colonna, guidata da questa idea, ha dato vita alle illustrazioni del progetto Io sono C. È concepito come un diario personale ma aperto al confronto e alla condivisione. Esatto. Nel 2020, avevo la spiacevole sensazione di non essere mai all’altezza (oltre ad avere un'autostima davvero bassa). Tutto si accompagnava ad un vero e proprio timore del giudizio, una paura che ti fa sentire oppresso ed inespresso. Così ho sentito la necessità di dedicarmi a qualcosa che fosse completamente mio ma che mi offrisse, al contempo, uno spunto di riflessione per confrontarmi con gli altri e – perché no? – per aiutarli. Così non solo mi sono sentita meno sola, ma ho potuto ascoltare pareri diversi dai miei, e questo si è rivelato davvero costruttivo. Ho capito, ad esempio, che il cambiamento è possibile, se lo si vuole davvero ('na faticaccia!). Il confronto su cui si fonda Io sono C va in controtendenza rispetto all’imperativo di mostrarsi sempre al meglio; affronta tematiche profonde, con uno sguardo alla leggerezza. Che è un po’ lo spirito cardine della tua rubrica “A cuor levante”. Ho scoperto che alcuni concetti tipici della cultura giapponese incarnavano perfettamente i miei pensieri e il mio progetto: così ho pensato a un piccolo percorso dalla consapevolezza personale all’empatia. La rubrica ha avuto parecchio esito. In modo particolare, sono stati apprezzati i concetti dello shoganai - la necessità di lasciarsi andare – e dell’ikigai (‘ragione di vita’, ‘ragion d’essere’). Forse perché legata al sogno nel cassetto, l’ikigai ha toccato molti nervi scoperti, coinvolgendo sia chi quel sogno l'ha già realizzato, sia chi aspira a farlo. Cos’altro hai percepito grazie al rapporto col tuo pubblico? Da quel che mi è parso di capire, al momento, c’è una forte necessità di tirar fuori le proprie emozioni – soprattutto tristezza e rabbia – e di avere una relazione con qualcuno che sia sulla propria lunghezza d’onda, senza accontentarsi. Evitare la famosa “minestra riscaldata” (che mi rimanda sempre ad uno dei miei film preferiti: Maledetto il giorno che t’ho incontrato). Esatto. In un’illustrazione, C rinuncia a quella minestra. Prende coraggio ed esce da una gabbia, simbolo di tutte le restrizioni che lei stessa si era data pur di accettare quella relazione insoddisfacente. Posso chiederti come mai hai scelto proprio la ‘C’? Con la lettera ‘c’ iniziano molte qualità che vorrei mi appartenessero: coraggio, caparbietà, costanza, consapevolezza… ‘C’ sta anche per ‘casa', da intendersi come la propria interiorità. Penso che quest'ultima dovrebbe venir fuori senza troppi filtri. Per questo il personaggio che incarna C. è sprovvisto di bocca: è come se parlasse "con la pancia”. C ha la bocca solo in un'illustrazione: posizionata in un luogo insolito, diventa funzionale all'uscita del famoso nodo in gola. Grazie mille per aver fatto parte di questo Scream of Consciousness! Ad maiora! Io sono C è su Instagram➡️ https://www.instagram.com/io.sono.c/
- Francesco Di Cristofaro e i Komitas Piano Works
Francesco è un polistrumentista dedito alla promulgazione e interpretazione della musica tradizionale. Pianista e fisarmonicista, arricchisce continuamente la propria formazione, tra cornamuse iberiche e musica armena. Come ti sei imbattuto nella figura di Vardapet Komitas? Nove anni fa, presso la Fondazione Giorgio Cini (Venezia), partecipai ad un corso di duduk, ovvero una sorta di antico clarinetto tipico della musica tradizionale armena. Così ho scoperto la figura di Vardapet Komitas, un prete ortodosso che durante il primo grande genocidio degli armeni (1915-1916) fu deportato a Çankırı in Anatolia. Grazie a dei diplomatici fu messo in salvo e riportato a Costantinopoli. Spostatosi a Parigi, vi morirà dieci anni dopo in un ospedale psichiatrico. Il Komitas Museum-Institute di Yerevan (Armenia) rappresenta un punto di ritrovo per la gente del posto. Forse non è così strano visto che Komitas è considerato un simbolo dell’identità armena. È stato anche un pionere dell’etnomusicologia, mi dicevi. Alla fine dell’‘800 Komitas compì una grande operazione di recupero tanto della musica medievale liturgica quanto di quella tradizionale armena. Il suo lavoro di ricerca comprendeva l’intero Caucaso e i territori circostanti, come la parte curda della Turchia e l’attuale Iran settentrionale. È stato uno dei primi ad aver effettuato sia la raccolta dei dati sul campo, sia la relativa catalogazione. Potrebbe essere considerato uno dei pionieri dell’etnomusicologia, eppure non viene mai nominato dalle fonti storiografiche e musicologiche occidentali. Inoltre, a lui si deve anche la trasposizione su pianoforte di una buona parte del repertorio tradizionale della sua etnia. E di qui il bellissimo progetto dei Komitas Piano Works… Durante la prima fase di sterminio degli armeni, i Turchi bruciarono buona parte dei manoscritti relativi alle sue ricerche. L’idea di registrare quel materiale superstite e inedito fu accolta con entusiasmo dall’Etichetta italo-giapponese Da Vinci Publishing. Sono un vero e proprio ibrido, no? Lo sono, e questo è un dato interessante dal punto di vista dell’etnomusicologia ma un dato negativo per quel che riguarda la fruibilità del prodotto: non rispondono alle aspettative dei fruitori abitudinari della musica classica e si discostano dal tipo di entertainment offerto nel mondo della world music. Un giovane regista armeno, Hracyha Sargsyan, ha scelto i Komitas Piano Works come colonna sonora di un suo cortometraggio la cui uscita è prevista per i prossol'autunno. Esatto, e la cosa mi rende a dir poco felice. Exodus In Three Parts è un cortometraggio sperimentale che esplora l’identità armena nella complessità della sua diaspora. Nella prima parte fa riferimento agli eventi storici del XX secolo, tra il genocidio armeno del 1915 protratto da parte dei turchi ottomani e la sovietizzazione dell’Armenia che portò la crisi economica al suo collasso. La seconda e la terza parte trattano, rispettivamente, dell’esplorazione dell’identità e della battaglia personale tra accettazione e rifiuto. Quanto ci sarebbe da dire sulle identità culturali. Sei la smentita in carne e ossa di una serie di pregiudizi sui limiti geografici e culturali. Grazie per aver partecipato a Le Microinterviste! Ad maiora <3 I link dell'artista ⏬ Pagina web: www.francescodicristofaro.com Vimeo: https://vimeo.com/419091299 Link audio al disco: https://www.youtube.com/watch?v=gdSHnhRL-mk&list=OLAK5uy_ktWXmrf3w3Lj5E8-Vcq_rpJxMZFT4Z1eQ Spotify: https://open.spotify.com/album/5JaF2B0sPc1U1zKTxa067F
- Annamaria Rinaldi e l’analisi applicata al comportamento
Annamaria sta seguendo un master in Applied Behavior Analysis (ABA). Per i non addetti ai lavori vuol dire che…? …che mi occupo di disturbi del neurosviluppo, in particolare dell’autismo. Si tratta di un ambito della scienza che punta a modificare i comportamenti durante l’età evolutiva, affinché non siano disfunzionali ma socialmente utili. Con una serie di procedure, contribuiamo a migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti con disabilità. Ti faccio un esempio: un bambino con autismo potrebbe non avere un contatto oculare ben modulato. Difficilmente può guardarti negli occhi mentre gli parli o molto raramente si girerà quando lo chiamerai per nome, e questo può comportare per loro isolamento o scherno, con conseguenze negative sulla loro accettazione sociale. In questo caso l’ABA (Applied Behavior Analysis) propone un programma mirato nel quale, ad ogni contatto oculare adeguato, avviene la consegna di un rinforzatore (che può essere, ad esempio, il suo giocattolo preferito). Il tuo campo di studi è l’emblema del principio di inclusione. Senza dubbio. L’obbiettivo è quello di garantire a tutti le stesse opportunità. L’importante è rispettare il concetto di individualità: i mezzi per raggiungere gli stessi obiettivi non sono uguali per tutti. Il ruolo della famiglia nell'affrontare la disabilità sembra essere cruciale. Tu che ci lavori, puoi confermarlo? Sì, totalmente. Il carico di una diagnosi inevitabilmente si poggia anche sulle spalle dei genitori. Molti dei miei bambini e ragazzi hanno diagnosi che necessitano tanta terapia e ogni presa in carico prevede l’accoglienza del suo nucleo familiare. Nella maggior parte dei casi, i genitori fanno del loro meglio per garantire ai propri figli un supporto adeguato. Ma le spese sia emotive che economiche fanno sentire presto il loro peso e questo si riflette sul loro stile di vita. Queste famiglie condurranno mai una vita “ordinaria”? Nella maggior parte dei casi…no. Già, e questo costituisce un dato di fatto. Forse anche la terminologia errata o ambigua contribuisce al solidificarsi delle differenziazioni sociali… Per certi versi sì. Parole come ‘atipico’, ‘diverso’ o ‘fuori dalla norma’ non sono sinonimi di peggiore, anzi: ogni giorno realizzo che la disabilità è una mera caratteristica di una persona, una tra tante altre, e la rendono degna di essere alla pari di tutti. Io sono alta un metro e mezzo, ciò non mi impedisce di prendere una scala per raggiungere il libro nello scaffale in alto. Certo, bisogna pazientare. I cambiamenti positivi arrivano spesso dopo ore di duro lavoro. Ma per me godere dei progressi quotidiani e osservare i risultati di un programma è una sfida quotidiana ricca di soddisfazioni. Già, immagino! Che bello, sono contenta di sentire il tuo entusiasmo. Credo che a livello culturale dovremmo riconsiderare il concetto di ‘difetto’ come anche quello di ‘compassione’. Dietro questa parola spesso avverto un senso di pietà che non è piacevole, né socialmente accettato. Grazie per aver contribuito a questo Scream of Consciousness!
- Giuseppina De Cesare e il relax insito nella mandala art
Giuseppina è una mia amica che vive a Praga dove lavora come Recruiter per le Risorse Umane di un’azienda internazionale. Recentemente si dedica alla pittura di mandala. Per fortuna l’arrivo del covid ha lasciato intatto il tuo lavoro. Però ti è rimasto molto tempo libero da spendere a casa. Ed è così che mi sono avvicinata al mandala art. Cercavo qualcosa che mi rilassasse tenendo presenti tre parole chiave: casa, inverno, Praga. Ho iniziato a colorare disegni di mandala già fatti sugli appositi libri per adulti finché un giorno, acquistandone alcuni online, mi sono imbattuta in manuali che spiegavano come disegnarli a mano libera. Di lì sono corsa a cercare tutorial su Youtube e me ne sono innamorata. Il mandala è una sorta di call back ai nostri studi sull’Oriente… Esatto! Memore dei miei studi sul buddhismo, ricordavo che il mandala fosse un simbolo del sé e dell’universo. In altre parole, è un diagramma in cui la dimensione intima e quella universale sono in perfetta simbiosi. Avevo la sensazione che avvicinarmi alla mandala art mi avrebbe aiutato a ristabilire un equilibrio con me stessa. E devo dire che è stata un'ottima idea: oltre ad apportarmi una buona dose di relax, mi ha insegnato a dare valore al mio tempo libero e a viverlo in modo più soddisfacente. Alla tecnica dei cerchietti hai aggiunto anche il disegno diretto. Esatto. Il disegno realizzato con colori acrilici avviene quasi interamente a mano libera delineando il pattern del mandala attraverso cerchietti di diverse misure. Col disegno diretto, invece, realizzo la base del mandala con l’ausilio di compasso e righe e la coloro con tutta calma solo in un secondo momento servendomi di pennarelli. La tecnica a mano libera (quindi quella coi colori acrilici) da un lato stimola maggiormente la mia creatività, dall’altro mi impone di essere precisa e concentrata durante tutta la realizzazione del mandala. La tecnica del disegno diretto, invece, richiede più precisione all’inizio ma mi concede più relax durante la colorazione. Dopo un’intensa giornata lavorativa preferisco quest’ultima. I social network ritornano utili anche in questo caso. Senza alcun dubbio: grazie ai social non solo ho potuto condividere questo nuovo interesse con altre persone ma ho potuto conoscere anche un’insegnante fantastica, Kathryn, che gestisce la pagina Instagram Mandala Meadow. È stata davvero una bella connessione: mi ha spiegato le basi del disegno diretto con molta serenità e pazienza. La consiglio. Grazie, tesoro! Allego qui di seguito sia il tuo link della nuovissima pagina Instagram sia i link della tua insegnante. Link di Giuseppina: https://www.instagram.com/mandala_art_creations/ Link di Kathryn: https://instagram.com/mandalameadow?igshid=z81et5m7ajks https://mandalameadow.com/mandala-art-classes/ Ecco altre Microinterviste legate al mondo delle arti grafiche e dell'artigianato: - Disegni https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/elena-colonna-unico-punto-di-vista https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/i-disegni-di-roberta-martucci - Illustrazioni digitali https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/io-sono-c-illustrazioni-angela-colonna https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/gli-alter-ego-digitali-di-occhio-e-ciclone - Origami https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/le-1000-gru-di-tania-ianora - Bigiotteria https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/leaf-thief-foglie-e-fiori-da-indossare https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/la-nine-worlds-art-di-bj%C3%B8rn-ravnen - Oreficeria https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/la-gioielleria-etnica-di-mario-morelli https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/indossare-la-propria-interiorit%C3%A0-attraverso-il-gioiello - Tatuaggi https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/il-tatuaggio-a-mano-di-marika-d-ernest
- Cos’è una Linguistic Services Manager? Ce lo spiega Marica Graziano
Marica si occupa dell quality control della Localizzazione presso la sede di Dublino della RWS, azienda che fornisce servizi linguistici a livello mondiale. Cosa si intende per 'localizzazione'? La localizzazione include la traduzione di un testo e l’adattamento dello stesso al mercato ricevente. Per esempio: per localizzare un sito internet redatto in inglese e destinato al mercato arabo ci sarà bisogno non solo di tradurre i testi, ma anche di adattare la struttura del sito originale in modo tale che possa supportare una lingua scritta da destra a sinistra. Per localizzare un sito in cinese, invece, dovremmo cambiare il formato delle date (in cinese iniziano con l’anno) e adattare tutti i riferimenti culturali del testo originale che, altrimenti, non avrebbero senso nella cultura ricevente. Il bacino d’utenza della RWS è molto variegato. Dovrai quindi relazionarti al linguaggio di ambiti molto diversi tra loro, è così? Sì. Una delle parti che trovo più interessanti del mio lavoro è proprio la sfida nel creare un team di traduttori e delle strategie che rispondano esattamente alle necessità del cliente, monitorandone l’efficacia e la qualità nel tempo. I testi che produciamo devono rispondere alle realtà culturali e ai settori nelle quali si inseriscono: può trattarsi di marketing, di ambiente medico o legale, oppure di informatica, dovendo tradurre l’User Interface (‘Interfaccia utente’) di alcuni software. A tutto ciò va aggiunto il lavoro di localizzazione di cui sopra. Di tanto in tanto scopro lingue delle quali non avevo ancora sentito parlare! Di qui la sfida costante e la possibilità di imparare sempre cose nuove. Che meraviglia! Mi dicevi che la tua azienda si serve molto anche della traduzione automatica (machine translation) e dei relativi software per attuarle. La traduzione automatica è una realtà sempre più affermata nel mondo della localizzazione e molti dei nostri clienti se ne servono. Io collaboro con un team di ingegneri per la messa a punto dei motori che producono la traduzione automatica, un po’ come Google Translate. Affinché il contenuto tradotto sia in linea con le aspettative del cliente – per stile e terminologia usata – fornisco al team di cui sopra le risorse del cliente (glossari, ad esempio). Così “addestriamo” il motore a tradurre - quasi! - come farebbe un traduttore umano. Ad ogni modo a questa prima fase segue un intervento umano… Sì, il post editing al momento resta necessario perché complementare al lavoro svolto dal software di traduzione. Inoltre, monitorando il numero e il tipo di correzioni fatte dal linguista sul testo elaborato dal software, abbiamo gli elementi utili per migliorare questa tecnologia in modo tale da creare un prodotto quanto più perfetto possibile. Wow, è meraviglioso tutto ciò! Grazie, Marica. A presto!