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  • Foto Animalesche – I fotomodelli a quattro zampe di Alessandro de Leo

    Gli animali? Sempre amati. La fotografia, anche. Foto Animalesche è una ricetta in cui l’amore per gli animali domestici è ben mescolato alle tecniche fotografiche, il tutto mixato da una grande virtù: la pazienza! Alessandro, infatti, lascia che le mascotte abbiano il tempo di abituarsi ad essere dei veri fotomodelli affinché lo shooting risulti per loro un'esperienza piacevole. La proprietaria di Rem è stata disposta a percorrere ben 80km per affidarsi ai tuoi servizi. Cosa che mi ha molto onorato. Voleva che fotografassi Rem mentre tentava di afferrare un croccantino al volo: espressioni buffe garantite! Certo, era impensabile farmi sfuggire uno scatto dedicato ai suoi occhi. Che meraviglia!😍Mi sembra di capire che, per i tuoi servizi fotografici, proponi una prospettiva diversa da quelle a cui siamo abituati. Volevo realizzare ritratti fotografici di animali nel senso più classico del termine, con un approccio sobrio e pulito. Nelle mie foto, infatti, gli oggetti di scena sono minimi e il focus ricade quasi esclusivamente sull'animale domestico. Animali che restano fermi anche grazie all’aiuto dei loro proprietari… Assolutamente. Lo shooting diventa un vero lavoro a tre in cui i proprietari partecipano in modo attivo nella gestione del loro animale. Tra le tante cose, mi aiutano a mantenere il cane seduto in un punto preciso, ad esempio. Tuttavia, anche col loro aiuto, resta centrale il ruolo della tua pazienza… (quanta stima! 😆) Diciamo che ogni animale collabora (o non collabora) a modo suo. È mia premura dare all’animale il tempo per abituarsi a quanto sta accadendo. Ci vuole molta pazienza, certo, ma è impensabile per me forzare i tempi: sono contento solo se il servizio fotografico risulti per lui un gioco e non una tortura! Ricordi quando, nell’altra Microintervista, abbiamo parlato del rapporto fra fotografia e verità? Milla è una gattina dolcissima, eppure qui ha uno sguardo torvo. Per noi sarebbe minacciosa o un po’ arrabbiata. In realtà era solo impegnata a mangiare e mi ha guardata così soltanto in quell’istante. Poi è stata la volta di Zoe, una cagnolina dolcissima e iperattiva. Zoe è un cane guida disciplinato e rigoroso ma in grado di essere totalmente sopra le righe quando è “fuori servizio”. Sarò sincero: non avevo in mente di mostrare questo dualismo mentre fotografavo, ma rivedendo quest'immagine è esattamente ciò che emerge. Uno scatto austero, composto, ma in bocca a Zoe c'è comunque una pallina. Tra le tue foto vedo un bellissimo Cavalier king Charles spaniel... Per riprendere Romeo in questa posa ho sgobbato parecchio. Mi piaceva l’idea di richiamare i suoi colori rossicci con quelli del fogliame autunnale e per farlo nel mio studio ho dovuto girovagare per ore raccattando ben due sacchi di foglie secche. Ti eleggo a Guru della Pazienza! 😜 Grazie per esser stato ospite de Le Microinterviste once again. ❤️ Ad maiora! (Foto Animalesche è su Instagram!)

  • Umberto Tarantino e la stand-up comedy - «La comicità ci mostra nuove prospettive»

    Quand’era piccolo, Umberto amava inventare barzellette infinite per dilettare amichetti, zie e nonni. Partecipava come protagonista alle recite scolastiche e faceva spesso imitazioni divertenti. La sua comicità e la propensione a stare al centro dell’attenzione sono rimaste per molto tempo un aspetto della sua vita privata. Finché un bel giorno… Un bel giorno hai visto il video di un monologo di Pietro Sparacino e te ne sei innamorato. Mi son detto: “Ma io voglio fare questo! Voglio dire le cose in questo modo!”. Poi, durante la pandemia, ho seguito un workshop di stand-up comedy online tenuto da Pietro al fine del quale ci siamo esibiti su Zoom… Che argomento hai trattato in quel tuo primo monologo? Me stesso, ovvero un infermiere in pandemia con un padre no-vax. Tra gli spettatori c’era mio padre. Sarà stata la stand-up, sarà stata la voglia di andare in vacanza…dopo aver ascoltato quel monologo si è fatto tutte e tre le dosi. Dal vivo, invece, hai iniziato in occasione del Comedy Village del 2021 e di lì hai fatto parecchia strada. Dopo molti open mic in giro tra alcuni locali del nord e del centro Italia (tra cui il Lokomotiv di Bologna e il Monk di Roma), ho seguito dei workshop con Mauro Fratini ed Eleazaro Rossi. Quest’anno, poi, ho avuto l’onore di aprire Occhiaie di Pietro Sparacino a Cesena e a Cesenatico e Grandi poteri di Salvo Di Paola a Fano. Che meraviglia! *-* Nonostante vagoni di ansia ed emozione, son state esperienze a dir poco fantastiche. Mi hanno permesso di capire molti aspetti della performance, non solo in modo attivo ma anche passivo. Guardare spettacoli di stand-up comedy dal vivo mi consente ogni volta di osservare lo standing dei professionisti, il loro modo di scaldare il pubblico e di gestire gli imprevisti… Il teatro è il “qui e ora” che ci può insegnare cose altrimenti inspiegabili. Hai detto che “una risata può lubrificare la mente per accogliere meglio un pensiero”. C’è chi interpreta la satira come l’atto di “lacerare le carni”. A me piace dilatare con dolcezza. La stand-up si sta diffondendo sempre più ed è importante far capire ai nuovi appassionati che si tratta di satira (spesso confusa con un eccesso di black humour e offese gratuite). Penso che la stand-up comedy - e la comicità in senso lato – sia piuttosto uno strumento utile a farci vedere le cose da un'altra prospettiva. Domanda da un milione di dollari: si può ridere su tutto, secondo te? A me piacerebbe riuscirci, sensibilizzando il pubblico su argomenti profondi. Li tratto ogni giorno, d’altronde, lavorando come Infermiere Oncologico. Per il momento lo faccio con i pazienti. Tra loro, sono in molti ad apprezzare l’umorismo nella loro quotidianità. Qualcuno mi dice che “è meglio far dell’umorismo in queste situazioni”. Altri si sono anche complimentati: “Mi piaci perché mi fai ridere”. L’ho sempre trovato uno dei complimenti più belli. E credo lo sia. Grazie di cuore per aver partecipato a Le Microinterviste, Umbe. ❤ ps: per restare aggiornati sui prossimi eventi a cui parteciperà Umberto, da' uno sguardo al suo profilo Instagram!

  • Alessandro de Leo e le immagini della sua interiorità

    Alessandro si è iscritto qualche anno fa al primo corso annuale indetto dalla scuola di fotografia Camera Chiara (Bari). Oggi vi insegna, dirigendo i nuovi studenti sia in sala di posa che nella postproduzione fotografica. Come mi facevi notare, nel tuo personale approccio alla fotografia, il soggetto è messo in secondo piano. È un concetto che mi porto dietro sin dai tempi dell'università quando appresi una definizione dello scrittore e teorico dell’espressionismo Kasimir Edschmid, secondo la quale “l’uomo espressionista sembra avere il cuore dipinto sul petto”. Più che un ritratto della materia, mostro una suggestione, una proiezione dei miei stati d’animo e del mio stare al mondo. Il soggetto è una materia prima da plasmare per dare forma ad un'immagine che mi rappresenti. Per questo, in fase di scatto, faccio largo uso di distorsioni, sfocature e mosso. Inoltre mi aiuto con degli escamotage: ad esempio, nel caso di “My Eye My Enemy”, facevo sì che i miei soggetti premessero e muovessero il proprio volto su una lastra di vetro. Questo metteva in risalto forme non convenzionali. Per la resa, preferisco realizzare le mie foto su pellicola facendo tutto con le mie mani: dallo scatto, passando per lo sviluppo fino alla stampa finale. È indescrivibile la sensazione che provo nel veder prendere corpo, materialmente, la fotografia che prima avevo solo in mente. Il tuo immaginario visivo è stato profondamente influenzato da Francesca Woodman e Ralph Eugene Meatyard. Entrambi esprimevano, attraverso l’arte della fotografia, un forte senso di inadeguatezza rispetto al mondo. Per farlo, la prima sfruttava molto la tecnica del mosso; il secondo si serviva di maschere grottesche. Prima ancora della fotografia, il pittore espressionista Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938) mi è stato di grande ispirazione. Mi hai detto che, durante le tue lezioni, c’è un aspetto della fotografia che tieni a precisare. Sì. Penso che, oltre le ovvie nozioni tecniche, sia importante comprendere il ruolo che ha la fotografia nella nostra vita quotidiana, di quanto influenzi le nostre scelte, anche quelle importanti. La scelta di strumentalizzare immagini per rispondere a determinate esigenze commerciali o politiche è un discorso molto ampio. Per riassumerlo, in questa sede, mi limito a citare una frase di Lewis Hine, fotografo e sociologo degli inizi del '900: “La fotografia non sa mentire ma i bugiardi sanno fotografare”. Credo ci sia un'urgente necessità di educazione visiva. I non addetti ai lavori faticano a leggere una fotografia e questo li espone a interpretazioni fuorvianti e a volte pericolose. Hai tenuto mostre personali? Nel 2020 ho esposto presso la galleria Heike Arndt DK (sia nella loro sede danese che in quella tedesca) e in Francia, ad Arles, presso La Belle Etoile Art Contemporaine. Poi ho tenuto una mostra personale a Milano, presso Circuiti Dinamici, e a Bisceglie (BT) in occasione del festival d'arte audiovisiva Sonimage. Complimenti, Alessandro! E grazie per aver partecipato a questo Scream of Consciousness. ♥︎ LINKS: https://www.instagram.com/alessandrodeleofoto/ https://www.instagram.com/tv/CEEXOKmFceW/?utm_medium=copy_link Se questa Microintervista ti è piaciuta, forse potrebbe interessarti anche▼ https://www.giovannacatanzaroblog.com/post/pasquale-de-felice-video-editor-made-in-puglia

  • Un’oasi di relax piena di libri: il Mondadori Point di Ilaria Trotta

    Da sempre amante della lettura, oggi è circondata da tante copertine colorate e inebriata dal profumo dei libri. Essere riservata non le impedisce di avere un ottimo rapporto col pubblico: con empatia e gentilezza, Ilaria cerca di intercettare i gusti dei suoi clienti e di venirgli incontro. Tre anni fa alcune cose sono cambiate e ha sentito il bisogno di riavvicinarsi da Roma alla sua terra. Da due anni gestisce il Mondadori Point a Gravina in Puglia. Ti è sempre piaciuto leggere, mi dicevi. Sin da quando ero piccola. La prima saga che ho letto è stata Harry Potter (di cui sono una grande fan). Di lì il mio periodo fantasy con Twilight, Le cronache di Narnia… Poi è stata la volta del Young Adult e dei generi più disparati sino a riscoprire, negli ultimi tempi, i gialli in stile Agatha Christie. E ti piace molto Jane Austen. La adoro. Penso sia un’ambasciatrice – ancora molto attuale – dell’importanza della donna nella società. La sua Elizabeth Bennet? Un personaggio estremamente moderno. A distanza di due anni dall’apertura della tua libreria, sono ancora in tanti a ringraziarvi. “Menomale che ci siete”, è quello che dicono più spesso. Che meraviglia! *-* Sei stata molto determinata nel perseguire questo obiettivo, vero? Il sostegno della mia famiglia e un flusso positivo di eventi sono stati importanti, questo è certo. Dal mio canto ci ho creduto e, con la convinzione e motivazione che avevo, era impossibile dare ascolto ai classici luoghi comuni secondo i quali in questo paese “nessuno legge”. Al contrario, l’apertura del Mondadori Point è stata percepita come una benedizione e da quel momento i ringraziamenti non sono mai finiti. Tendo a pensare che il senso di gratitudine diffuso tra la tua clientela sia strettamente legato al tuo modo di accoglierla. Forse sono riuscita nel mio intento: il mio obiettivo non era solo quello di aprire un negozio di libri. Volevo creare un ambiente familiare, in cui le persone potessero sentirsi a casa, un’oasi dove potessero trattenersi, distendersi, scambiare una chiacchiera, parlarmi di sé. Son proprio le persone con cui interagisco a darmi le soddisfazioni più grandi. Ad esempio, vedere un bambino che esce felice dalla libreria brandendo un libro che desiderava da tempo è davvero bello. Il tuo amore per i libri funge da base per un work in progress costante. Assolutamente. Si tratta di un lavoro tutt’altro che routinario, tra nuovi visitatori e clienti assidui, grandi classici e ultimi arrivi… Tra le tante cose, ho imparato ad intercettare i gusti del mio pubblico. Bisogna essere sempre aggiornati sulle novità che si diffondono sui vari social, tra cui Tik Tok con il fenomeno dei BookTokers (per inciso, i ragazzini sono i nostri clienti più assidui). Cosa non meno importante: ho imparato a non aver fretta. Col tempo si impara tutto. Vero. ♥︎ Sono felice che abbia partecipato a Le Microinterviste, Ilaria! Grazie di cuore. Ad maiora ♥︎ Resta aggiornato sulle novità del Mondadori Point di Gravina in Puglia: ☛https://www.facebook.com/mondadoripointgravinainpuglia ☛https://www.instagram.com/mondadoripointgravina/ ☛https://www.instagram.com/ilatrotta/ ps: se anche a te interessa il fenomeno dei BookTokers, sappi che Ilaria sta dedicando ben due mensole del settore Young Adult ai libri consigliati su Tik Tok. Tra questi, i più venduti, sono Fabbricante di lacrime, It ends with us e Kiss me like you love me.

  • Domenico Francone, lo chef stellato del Wine Resort Castello Banfi

    Nei suoi piatti, la cucina mediterranea rivive attraverso il suo vissuto personale, tra prodotti gravinesi e piccole contaminazioni dal sapore esotico. Sotto la sua direzione, il Wine Resort Castello Banfi (Montalcino) ha ottenuto una stella Michelin, tra maestria e ricerca maniacale di materie prime autentiche e genuine. Scopro grazie a te l’esistenza del Castello Banfi di Montalcino. È una struttura piuttosto prestigiosa! Per questa ragione, infatti, è entrata a far parte del circuito di Relais & Châteaux, l'Associazione che raggruppa hotel e ristoranti di lusso. Il Wine Resort Castello Banfi, inoltre, si espande in Toscana per quasi tremila ettari e impronta la propria politica aziendale sulla sostenibilità (https://www.callmewine.com/cantina/banfi-B1143.htm). Un po’ come fai tu per la tua cucina. Esatto. Mi servo soltanto di carni sostenibili e, contrario allo spreco, ottimizzo ogni parte dell’animale destinato alle mie pietanze. Ad esempio, nel mio piatto Rombo, coriandolo e carota, sfrutto la pelle del pesce in questione per ricavarne una chips, mentre con la carcassa ci faccio una salsa; nella stessa ottica, preparo il sugo del Coniglio alla cacciatora solo con le ossa dell’animale mentre cucino le altre parti in due o tre modi diversi. La sostenibilità si estende anche alle risorse vegetali: se le conserve di pomodori vengono rigorosamente dal sud, gli altri prodotti – come l’olio extravergine d’oliva, gli ortaggi e la frutta – sono tutte made in Castello Banfi. Il tuo stile affonda le radici nei ricordi di famiglia. Ricordo, in modo sempre più nitido, le gite in campagna. Avevamo varie coltivazioni e riunirci per controllarle e poi per produrre conserve e simili (salsa, vino, vin cotto, olio, etc.) era sempre un motivo di festa. Con mio padre, invece, andavo di tanto in tanto a Bari (che è la sua città natale) dove compravamo e mangiavamo pesce crudo appena pescato. Tutto ciò influisce inconsciamente nel mio approccio alla cucina: porto con me la ricerca maniacale del prodotto autentico e genuino. Tuttavia il tuo legame con le origini e, in generale, con la cucina mediterranea non è esente da piccole contaminazioni. So che nelle tue ricette c’è una piccola traccia dei tuoi viaggi in Asia. In minima parte, sì. Ad esempio, ho introdotto il tamarindo, il lemon grass e una Cytrus medica (ovvero una varietà della famiglia del cedro) nota come “mano di Buddha”. In linea generale mi piace apportare po’ di fusion ma senza creare confusion. Anche la Food&Wine Promotion della tenuta Castello Banfi continua a spingerti verso terre lontane. Trascorro due mesi all’anno come Guest Chef in ristoranti sparsi nel mondo, dai Caraibi all’Australia, passando per il sud-est asiatico. Viaggiando ho scoperto nuove realtà e altri approcci al mio mestiere. In particolar modo, ho ammirato il rispetto vigente nelle brigate di cucina in Asia, che mi sembrava strettamente legato alla concezione locale - quindi culturale - di disciplina. Lì il lavoro del cuoco mi è parso ben lontano da certe esasperazioni made in Europe. Grazie per aver partecipato, Domenico! Spero presto di fare una capatina nel mitico Castello Banfi (appena divento ricca, eh). :D Ad maiora!

  • La Stand-up Comedy sottotitolata di Marco di Pinto

    Marco, fondatore dell’agenzia BeComedy UK, organizza dal 2018 serate di stand-up comedy a Londra (sede del progetto), in Italia, in giro per l’Europa e in America. Con l’arrivo della pandemia ha iniziato a pubblicare video su Instagram, sottotitolando in italiano e in inglese alcuni spezzoni tratti dai monologhi degli stand-up comedian più vari. ...video che hanno portato ad un’impennata considerevole dei tuoi follower: al momento sono quasi 15mila. Auguri! Grazie! Fermo com’ero sul fronte dell’organizzazione d’eventi, ho dovuto ponderare nuovi contenuti per la pagina Instagram. Ho notato come, rispetto ai meme e alle immagini, i video continuavano a riscuotere maggiore successo. Quasi sempre contengono stand-up comedy concepita in inglese e sottotitolata in italiano: un buon 80% dei miei follower è italofono. Quando studiavo lingue all’università, imparai il detto: “Tradurre è tradire”. Ci sono testi che hai dovuto un po’ “tradire”? Se ti riferisci all’adattazione del testo…sì, a volte si è rivelata difficile. Ad esempio, sottotitolando un monologo di Daniel Tosh, dovevo tradurre l’espressione ‘good riddance’. In italiano sarebbe stato, letteralmente, ‘buona liberazione’ ma, riferendosi a una persona, ho preferito renderla con “che sollievo non averla più qui”. (https://www.instagram.com/p/CMr_V8YnQhP/?utm_medium=copy_link) Così ha più senso nel contesto. A proposito di quest’ultimo, mi hai fatto cenno all’algoritmo Instagram… Un video che contiene la parola rape può essere individuato dall’algoritmo e bloccato per il mero fatto di contenerla, decontestualizzandola del tutto. Per questo, nelle parole “compromettenti”, sostituisco alcune lettere con degli asterischi. Affinché la gestione della pagina si riveli un’esperienza piacevole, cerco di attenermi – per quanto possibile – alle Community Guidelines. Inoltre, cerco di evitare il dilagare di polemiche nei commenti: mediare lunghe discussioni di stampo politico o religioso non rientra negli obiettivi del mio progetto. C’è poi la questione dell’interpretazione di alcuni contenuti: può capitare che urtino un certo tipo di sensibilità… Sì, dark humour e argomenti di stampo etico o religioso sono ancora campi minati. Alcune battute sulla religione vengono prese per “incitazioni alla violenza e al razzismo”. Ad esempio, mi fu segnalato un video in cui avevo sottotitolato una battuta di Jeselnik fatta davanti a un ristretto gruppo di musulmani (di quel contesto, ne trovi qualcuna in lingua originale su YouTube cercando “Stand up for muslims”). Parafrasando Ricky Gervais: una battuta potrà rivelarsi sempre offensiva per qualcuno, da qualche parte. A differenza sua, però, io devo stare molto attento. Per questo, ho dovuto creare una pagina di backup. Per alcune battute, forse, la prospettiva storica è più rilevante rispetto ad altre… Ma certo! Il senso di alcune battute vive e muore in un determinato momento storico. Poi ce ne sono altre – frutto dei grandi geni della stand-up – che, al contrario, resistono allo scorrere del tempo: Lenny Bruce, Bill Hicks e George Carlin risultano più che mai attuali su molte tematiche, tra politica, società, religione e questioni esistenziali in senso lato. Grazie per aver partecipato, Marco! <3 Ecco alcuni video sottotitolati e disponibili sulla pagina Instagram becomedy_uk: Bill Burr -> https://www.instagram.com/p/COdwPSUHMJh/?utm_medium=copy_link George Carlin -> https://www.instagram.com/p/CO3IHJJn18P/?utm_medium=copy_link Louis CK -> https://www.instagram.com/p/CQRHcQ6H95V/?utm_medium=copy_link Sito web: https://www.becomedyuk.com/ ps: ps: sulla stand up comedy ho intervistato anche Flavio Verdino. Da' un'occhiata a questo link: https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/flavio-verdino-e-la-stand-up-comedy.

  • La stand-up comedy per Flavio Verdino

    Flavio Verdino ha cominciato a dedicarsi alla stand-up comedy nel 2018 esibendosi in occasione di un open mic al Kest’è di Napoli. Da quel momento è iniziato il suo percorso fatto di duro studio ed esperienze dal vivo. Qual è il primo grande sforzo che deve affrontare uno stand-up comedian, secondo te? Bhè, innanzitutto, una volta che hai capito cosa vuoi comunicare con un monologo, devi prodigarti nella cura maniacale del testo, ponderando attentamente la scelta e la posizione delle parole per rendere le battute più efficaci. La seconda difficoltà - forse anche maggiore della prima - è sembrare naturali durante la performance ed essere consapevoli del contesto in cui questa avviene. Da questo punto di vista sento di aver fatto una bella gavetta con i ragazzi del collettivo Allert' Comedy, ovvero Adriano Sacchettini, Davide DDL e Vincenzo Comunale. Con loro mi sono esibito in un pub dove il pubblico non ci dedicava grande attenzione. Proprio grazie a questa difficoltà ho potuto sperimentare più modi per interagire col pubblico, capendo il valore del loro coinvolgimento. La cosa bella è che quando senti un risatone o un applauso hai la sensazione che oramai quella sarà la tua vita. E quindi sono ben disposto a legare ad essa le frustrazioni. Ahahah, ma smettila! Tu ti lamenti? Come tutti i mestieri, non ci si può improvvisare, quindi. Come tutti i mestieri, presuppone impegno e costanza. Tre open mic non ti rendono un comico. All’impegno e alla costanza aggiungerei il coraggio. So che hai fatto l’apertura per vari stand-up comedian: Montanini, Sparacino, Giardina, Ravenna… Sì, le aperture sono un’ottima occasione per testare tanto il proprio monologo che il proprio approccio. Certo, è un’arma a doppio taglio: sei nel posto giusto perché la gente è lì per ascoltare un monologo di satira; d’altra parte, è venuta ad ascoltare un comico nello specifico – che magari segue e adora – e per questo potrebbe avere delle aspettative piuttosto alte. Con le aperture puoi farti sia un’ottima che una pessima pubblicità. Ma vale la pena rischiare, senza alcun dubbio. Mi dicevi che anche tu, come me, sei un grande estimatore di Aldo Giovanni e Giacomo. Esatto. Adoro la tecnica, la bravura e la genialità con cui sono riusciti a creare certe scene paradossali. Mi son piaciuti tantissimo anche il trio Marchesini Lopez Solenghi, Massimo Troisi, Giobbe Covatta e Martufello (solo per citarne alcuni). In generale, mi sono sempre sentito attratto dalla comicità, avendo la sensazione che fosse una dimensione fatta per me. La Stand-up è congeniale per esprimere le peculiarità di ognuno, dando ampio spazio all’originalità. Più è personale il tuo punto di vista, più il tuo messaggio riesce ad essere diverso. Ad ogni modo, al di là delle scelte personali che mi hanno portato a dedicarmi a questa forma d’espressione piuttosto che ad altre, stimo le varie sfaccettature della comicità e sono contrario alla demonizzazione delle altre tipologie di intrattenimento comico. Sono totalmente in linea con il tuo punto di vista. Grazie per aver contribuito a questo Scream of Consciousness, Flavio! Ad maiora! Instagram: https://www.instagram.com/p/CH_SO5_l8Bi/?igshid=1biebkq5qhnyx Facebook: https://www.facebook.com/stambeccoanonimo Allert' Comedy: https://www.facebook.com/allertcomedy/ e gli open mic organizzati in collaborazione con https://www.facebook.com/standupcomedynapoli. ps: sulla stand up comedy ho intervistato anche Marco di Pinto. Da' un'occhiata a questo link: https://giovannacatanzarob.wixsite.com/myblog/post/la-stand-up-comedy-sottotitolata-di-marco-di-pinto.

  • Pasquale Sallicati, operatore Shiatsu

    Molti lo conoscono come ‘massaggio Shiatsu’. Eppure si pratica vestiti, compiendo pressioni perpendicolari e costanti sul corpo, escludendo l’uso di oli o creme. Per Pasquale, un trattamento Shiatsu è un viaggio verso la consapevolezza e un cambiamento possibile solo se a riceverlo c’è chi è disposto a cambiare. Tutto è iniziato 5 anni fa quando, a Las Palmas (Gran Canaria), hai conosciuto Simona Lanza. Simona era alla fine dei suoi studi di Shiatsu e proponeva trattamenti nell’ostello in cui stavo soggiornando. È stato in quell’occasione che ho scoperto questa pratica. Fui colpito dal fatto che il trattamento si svolgesse per terra. Percepii in modo chiaro l’energia di Simona. Muovendo il mio corpo, assumeva di volta in volta nuove posizioni: stirando me, stirava sé stessa. Un trattamento Shiatsu è un viaggio in cui sia il donante che il ricevente lavorano per il proprio benessere. L’incontro decisivo, però, è arrivato tre anni dopo, quando hai visitato la fiera del benessere a Cesena, il Macrolibrarsifest. Lì mi sono imbattuto in Maurizio Cioria che poi sarebbe diventato il mio maestro, amico e confidente. Mi stavo trasferendo in Puglia, in quel momento, ma non mi hanno scoraggiato né i km di distanza (il corso si tiene in Romagna), né le restrizioni che tutti ben conosciamo. Mi sono iscritto ai corsi di Maurizio impegnandomi per tre anni in un progetto – ancora in corso – che avrebbe implicato sacrifici sia economici che energetici. Tutto ciò sarebbe stato impensabile qualche anno prima, quando non riuscivo a stare fermo in un posto per sei mesi di fila. Ho capito che era arrivato il momento di radicarmi, intraprendendo un percorso che mi avrebbe cambiato totalmente la vita. Se ho ben capito, per te il trattamento Shiatsu stesso è una metafora del cambiamento. Assolutamente sì. Si tratta, tra l’altro, di un cambiamento volontario: il mio compito è capire se i punti in disequilibrio del ricevente sono pronti a cambiare, aiutandoli a riprendere vigore o ad ammorbidirsi. Un po’ come accade in un dialogo, chi fa il trattamento (‘Tori’) pone delle domande a chi lo riceve (‘Uke’). Tori e Uke non sono “il terapista e il paziente” ma due persone che si relazionano per capire insieme a cosa è dovuto lo squilibrio energetico. Tori prova a ricondurre l’Energia Vitale dell’altro ad una circolazione armoniosa. Un’azione, questa, da non considerarsi soltanto fisica… Nello Shiatsu – come nella medicina tradizionale cinese – il fisico, la psiche e la coscienza sono strettamente collegati. Quindi, quando qualcosa è in disequilibrio, si tratta di tensioni e nodi psicosomatici. Per questo chi riceve un trattamento Shiatsu ti consente di entrare nel suo mondo interiore più profondo, dandoti il permesso di scavare nel suo inconscio, a vari livelli. Che meraviglia! Ti auguro di poter terminare questo percorso al meglio. Intanto oggi vengo a studiare il trattamento di persona! :p Ad maiora! Ps: puoi contattare Pasquale tramite il suo profilo Facebook ☛ https://www.facebook.com/sallipas, scrivendo una mail all'indirizzo sallipas@gmail.com o chiamando al numero +393468234701.

  • El handpan según Guillermo Peña Planelles

    Guillermo es un amigo mío de Alicante. Hace cinco años éramos compañeros de piso en Sevilla y desde entonces hemos estado en contacto. Guillermo es una fuente inagotable de descubrimientos y sorpresas. Siempre inspirado y siempre fuente de inspiración. Hola, genio! Bienvenido en Scream of Consciousness. El handpan es un instrumento que llama mucho la atención por su forma. Recuerda un poco una imagen de un ovni :D ¿Qué pensaste al verlo por primera vez? Lo identifiqué como el instrumento que me permitiría estudiar la música. Yo no soy ni un fanático ni un enamorado del handpan. Sin duda me impresionó mucho y lo veo muy fascinante por la manera en que está pensado y construido. Pero ante todo soy un enamorado de la música. Me he dado cuenta que está muy conectado al mundo de la espiritualidad. Para mi no tiene nada de simbólico ni místico; es un vehículo para sondear algo más grande. Sé que has estudiado la armonía y que eso te llevó a adquirir tu punto fuerte por excelencia: utilizas un set hecho por seis handpan. ¡Así es! Un handpan provee una sola escala diatónica (7 notas) y yo buscaba poder tener una escala cromática (12 notas) como en un piano. Eso me llevó en su momento a comprar muchos handpan de diferentes tonalidades para unirlos y crear un set, hasta el momento en que conocí a Pepis Noblet (https://noblethandpans.com/). Colaborar junto a él me permitió diseñar un set cromático que actualmente consta de seis handpan y siempre es susceptible de cambios y evoluciones. La necesidad que tengo de tocar más notas está relacionado a mi idea de música: no importan las notas, importan sólo las frecuencias y los intervalos. Moverme desde el punto en que estoy hasta otro es para mí el sentido de la música. Interesante…me gusta esta percepción “geográfica” de la música. Me recuerda mucho la idea del viaje (y sobre el ‘viaje’ me pongo a llorar). Más allá del aspecto teórico, cual es el aspecto que te parece más importante? Sin duda el compartir me parece fundamental. Confrontarse con los demás te permite mirar la misma cosa desde más puntos de vista, pero incluso te permite orientarte, tomando consciencia de lo que has aprendido hasta ese momento. Además pienso que la sabiduría y el aprendizaje tienen que ser compartidos para llevar adelante un flujo continuo. Imagino a cada persona como un diente de un engranaje: transmite el movimiento anterior a otro semejante. Así transmitir lo que sabemos representa un poco el espíritu de esta pertenencia a algo más grande. Muchisimas gracias, Guille! Para seguir Guillermo Peña Planelles y sus proyectos: https://www.facebook.com/GuillermoPHang https://www.instagram.com/guillermo_hang_experience/?hl=es https://www.youtube.com/channel/UCGMj3O4k90JtwyRvtz-Cesw https://www.tiktok.com/@guillermo_hangexperience?lang=es

  • El arte multifacético de Mathilde Lanoë

    Desde hace casi 9 años Mathilde vive en Sevilla. Su formación en el Institut d’Arts Visuels en Orléans (Francia) ha sido sólo el primer paso hacia un largo recorrido artístico multifacético. Incluso tu pasión por la danza africana se coloca en tu recorrido creativo. Exactamente. Tras terminar los estudios académicos, me apunté a un curso de danza africana. Finalmente tuve la sensación de poder desahogar aquella energía que había estado acumulando hasta aquel momento, una energía que pronto canalicé en el dibujo. Fue una necesidad antes de todo física, por eso utilicé soportes muy grandes (papel de embalaje, por ejemplo). Mientras dibujaba en tamaño natural mis compañeros del curso de danza africana, tenía sus propias sensaciones: transponía en los colores aquellos juegos de tensión, equilibrio y desequilibrio que sentía yo misma en las clases. ¡Qué interesante! Efectivamente tus pinturas de bailaores flamencos expresan increíblemente el sentido del movimiento. Sevilla te ha inspirado mucho en hacer eso, ¿no? Bueno, llegó un momento en el que necesitaba un recurso de dinero adicional y busqué inspiración en todo lo que hacía parte de mí, adentro y fuera: esta ciudad, la cultura local, el turismo, el movimiento… Todo esto me llevó a una única cosa: el flamenco. Y fue así que empecé a vender las pinturas de bailaores flamencos como si fueran churros. Quien los conozca estará lamiéndose el bigote! (sonrío, babeando) Afortunadamente para mi cintura, conozco mejor tus creaciones flamencas. Hay también animales acuáticos entre tus creaciones, ¿verdad? ¡Sí! Quería poner la atención a la coexistencia de muchas especies en nuestro planeta. Además, el mar es una parte importante de mi vivencia (mi pueblo de origen es una localidad costera). Con los animales acuáticos te acercaste al estilo de tus últimas creaciones (estupendas). Gracias. Con toda la situación relacionada al Covid, entré en una nueva etapa creativa que representa para mi una autentica novedad: aquella manera de pintar con el cuerpo en tensión y la espontaneidad de la realización fue substituido por la concentración y la paciencia, y esto se reflejó en un cambio de estilo que de momento es más geométrico y puntillista. Hoy en día dedico mis dibujos arquitectónicos a negocios icónicos que han rodeado la Alameda de Hércules (el barrio donde yo vivo) hasta hace poco. Dibujos de negocios que imprimiste en tu nueva línea de bolsos y mochilas. Me parece una manera muy linda de recordarlos. Recordarlos y, de una forma, ser nostálgicos de algo bonito que no viví mucho por haber llegado “tarde”. De momento tengo dos ilustraciones adaptadas para serigrafía en textil que es el Multicines Alameda en Tote bag y la Esfera Climática de la Expo ‘92 en mochilitas de tela. Decidí empezar con estas porque marcan dos símbolos sobre la historia y la vida cultural de Sevilla. ¡Qué guay este proyecto, Mathy! Me quedo en la espera de tus novedades. Mucha suerte por todo! Gracias, suerte a ti también! Ps: aquí va ⏬ una pequeña inmersión entre las bailaores de Mathilde *-* https://www.instagram.com/p/B6Bq6TlIDjw/

  • Il flamenco per Alessia Demofonti

    Alessia si è imbattuta nello studio del flamenco all’età di 17 anni e, da quel momento, questo è il suo principale mezzo di espressione personale. Alessia - È stata un po’ una casualità. L’idea di seguire un corso di baile flamenco non mi era mai passata per la testa. Seguivo un corso di danza moderna ma un cambio di orari repentino mi rese impossibile andarci. Di lì a poco una mia amica mi consigliò di provare delle lezioni di flamenco. Ne rimasi folgorata e mi ci iscrissi. Ed eccomi qui. Come mi accennavi, il tuo viaggio nella Sevilla del '94 è stato decisivo. In quell’occasione presi lezioni di baile presso l’Accademia di Manolo Marín. Davanti a me, una ragazzina sui dodici anni, con una treccia lunga fino alle gambe, danzava con un'espressività paurosa e io mi chiesi: "Ma quanto ha vissuto o come, per poter tirare fuori questo alla sua età?!”. Lì mi è sembrato di capire cosa significasse per me il flamenco e di quanto avesse a che fare con l’autenticità del proprio sentire. Un’autenticità che ritrovi nel progetto Flamenco Tango Neapolis. Esatto. In questo progetto fondato nel 2009 e diretto da Salvo Russo (musicista e compositore partenopeo), la canzone napoletana integra il flamenco e il tango argentino. La contaminazione che ne nasce mi permette di sentire fino in fondo ciò che danzo: le atmosfere che esplodono in scena sono reali e mi permettono di esprimermi in maniera autentica. Nell’ambito delle contaminazioni culturali, ho rivolto lo sguardo anche ad est con la collega Nadia Slimani: nel nostro corso di flamenco arabo creiamo un ponte tra il flamenco e alcune danze del Medio Oriente, facendo leva sui loro punti di contatto e prestando particolare attenzione alla loro energia. Mi sembra di aver capito che Ángel Atienza sia uno dei tuoi punti di riferimento. Eccome se lo è! Ho conosciuto Ángel a Torino durante uno stage del Festival Flamenco tenutosi al Teatro Regio di Torino quasi venti anni fa. Solo successivamente è venuto a dare lezioni a Roma, diventando un mio punto di riferimento. Angel è un maestro severo e attento. Non si risparmia mai. Incarna ciò che, per me, è il giusto compromesso tra tradizione e modernità. Offri lezioni di flamenco a Roma già da molti anni. Cosa ti rende particolarmente contenta nell’esperienza dell’insegnamento? Sapere che le mie lezioni abbiano un impatto sugli allievi e che non siano una mera trasmissione della tecnica (che, certo, resta un aspetto importante della disciplina e va curato). Il flamenco è un potente mezzo di espressione personale: permette di esplorarsi a fondo attraverso il linguaggio del corpo e la connessione con le emozioni più profonde. Inoltre può essere di grande aiuto per connetterci alla nostra forza interiore, risvegliando ciò che la scrittrice e psicoanalista Clarissa Pinkola Estès chiamava “la Donna Selvaggia”. A tal proposito, qualcosa bolle in pentola… Muy bien! :) Grazie mille per aver partecipato a Le Microinterviste, Alessia! A presto e ad maiora! Instagram account: https://www.instagram.com/flamencoroma/ Sito web (pagina relativa ai suoi corsi): https://www.corsoflamencoroma.com/index.php/corsi-di-flamenco-a-roma-2/

  • Il Blackwork tattoo di Salvatore alias Lived Vikernes

    Salvatore è un tatuatore specializzato nel Blackwork, uno stile caratterizzato dal solo utilizzo del colore nero e che affonda le sue origini nel Nord Europa. I suoi soggetti testimoniano uno studio personale che oscilla dal sacro al profano, incuriosito dall’evoluzione dell’umanità e dalle leggi dell’Universo. Cosa pensi della scelta di farsi un tatuaggio? Per me dovrebbe basarsi su una forte motivazione o su delle forme di sofferenza; lì dove non è mosso da un particolare stato d’animo, che sia per lo meno associato ad un significato. Osservando l'evoluzione dell'arte del tatuaggio scopriresti le funzioni più diverse che un tatuaggio può avere. Ad esempio, tra le antiche tribù neozelandesi, serviva a rendere evidente il proprio ruolo all’interno della comunità. A mio avviso tutto è fuorché un atto puramente estetico. Perché pensi che sia difficile definire in modo netto il concetto di Blackwork? Perché anche se in linea di massima si rifà agli emblemi dell’arte sacra e ad immagini gotiche e medievali, a mio avviso dipende molto dallo stile del singolo tatuatore. Io, ad esempio, sono attratto dagli argomenti e dai soggetti più disparati come l'anatomia umana, l'iconografia medioevale, il mondo alchemico e la mitologia classica. Inoltre amo studiare l’anatomia delle piante, soprattutto in relazione all’alchimia. Mi chiedo: “Come funziona questa pianta e perché è ritenuta sacra?”. Ti lasci ispirare anche da figure ecclesiastiche, se non erro. Non erri. Sebbene io non creda in determinate entità sacre, penso che vada riconosciuta la grandezza di quegli artisti che hanno reso belle delle falsità. Quando ti sei avvicinato a tutto ciò? Durante l’adolescenza. Nel paese in cui sono cresciuto stereotipi e luoghi comuni hanno da sempre radici ben profonde. In quel contesto mi risultava difficile condividere il mio mondo interiore. Tutto ciò mi ha spinto verso una “chiusura produttiva”: restavo chiuso in me stesso ma nutrendo una forte e filtrata curiosità verso l’esterno. È stato allora che ho iniziato a creare tavole basate sul vecchio stile di incisione di piastre alchemiche e medico-anatomiche, gettando le basi di quello che poi sarebbe diventato il mio lavoro, un contesto in cui mi sento libero di esprimermi. So che molti dei tuoi clienti vengono dai paesi limitrofi, tra cui alcuni musicisti che si sentono rappresentati dal tuo stile. È così, e ne sono felice oltre che lusingato. Mi piace pensare che ogni mia tavola sia il frutto di anni di studio e di svariate esperienze che mi hanno reso più consapevole di me stesso e del mondo. Studio ed esperienze sono forse i due perni su cui ruota il mio percorso: una continua presa di coscienza e fase di crescita in cui ricerca e approfondimento sono indispensabili. Grazie di cuore per aver partecipato, Salvatore! 🙏🏽 Ad maiora! Ecco alcuni link per guardare le sue creazioni.👇 https://www.instagram.com/__liv9__/ https://www.facebook.com/lived.vikernes.9 Se questa Microintervista ti è piaciuta lascia un commento su questa pagina o in privato tramite Messenger, Direct o WhatsApp! Thanks 🌻🙏🏽

  • La semplicità che non è semplice - Una chiacchierata sul flamenco con Raúl Corredor

    Nel suo percorso musicale da autodidatta ci sono stati momenti cruciali che hanno plasmato il suo modo di studiare. Secondo la sua visione del flamenco, l'atteggiamento, la tecnica e l'autenticità dovrebbero passare attraverso i silenzi e la semplicità (una semplicità che poi, tutto sommato, non è semplice). Cosa intendi quando parli di "una questione di atteggiamento"? Mi riferisco alla necessità - che tutti abbiamo - di colpire, di impressionare qualcuno mentre suoniamo, quando invece l'unica cosa che dobbiamo fare è metterci al servizio di quel che sta accadendo sul palco in quel momento. Qualche anno fa hai avuto un incidente col quale ti sei rotto un braccio. Hai dovuto imparare a suonare di nuovo... Può sembrare un paradosso ma questa cosa mi ha aiutato: ha cambiato moltissimo il modo di intendere lo strumento. Iniziai a lavorare su cose che prima trascuravo, dandogli spazio per migliorarle. ci sono cose che sembrano semplici ma suonarle bene è un'altra storia. Dato che il flamenco è un'arte tradizionale, tutti fanno le stesse cose ma in un modo diverso. Avrai ascoltato 5000 volte la stessa frase ritmica. Ogni volta era fatta bene? Ho imparato un concetto "ovvio" che alla fine è risultato utile: meglio lavorare le cose fondamentali in modo avanzato e non cose di un livello avanzato in modo superficiale. E questo è quel che provo a trasmettere ai miei alunni. Tra il 2015 e il 2018 hai suonato in molte classi tenute da Andrés Marín e altri insegnanti invitati nella sua scuola (Flamenco Abierto, en Sevilla). Andrés Marín è un bailaor che apprezzo davvero tanto. Lui mi ha insegnato, meglio di chiunque altro, l'onestà nell'arte del flamenco e la precisione. Quando suono qualcosa devo chiedermi: come deve suonare questo? Suona come voglio che suoni o suona più o meno come io vorrei? Vero, le sue lezioni sono impressionanti da questo punto di vista. A proposito di punti di riferimento, mi hai parlato anche del Maestro Manolo Sanlúcar. Lo stage del Maestro Sanlúcar a cui partecipai nel 2005 ha segnato un prima e un dopo nel mio percorso. Mi insegnò a correggere la posizione delle mani suonando di fronte ad uno specchio, una tecnica che ho applicato per mesi finché non mi son liberato dei vecchi difetti. Inoltre, analizzando la struttura e l'armonia di alcune mie composizioni, pose l'accento sulla necessità di rispettare l'identità di ogni palo, in modo tale che i tangos rimandino al Sacromonte e che la taranta ricordi l'odore del levante*. Sé que es algo muy manido, pero el flamenco es un arte regionalista y esa es precisamente la riqueza que lo hace grande. ¡Grazie per aver partecipato, Raúl! Aquí te dejo unos enlaces para echar un vistazo al perfil Instagram de Raúl y para escuchar unas de sus actuaciones. ⬇ Instagram https://www.instagram.com/corredor_raul/ Raúl tocando una Taranta https://www.youtube.com/watch?v=r3RT9c21_P0 Raul Corredor Flamenco 5tet Alegrias con Adi Akiva en Propulse Festival 2014 https://www.youtube.com/watch?v=PfPdbEZcMf0 Raul Corredor con Karen Lugo https://www.youtube.com/watch?v=U08aJfMMsSI *Tangos y tarantas sono due dei numerosi ''generi'' interni al flamenco. Sacromonte è un quartiere della città di Granada, noto come il quartiere gitano e viene citato perché i tangos de Graná hanno delle peculiarità che li distinguono dagli altri tipi di tangos; las tarantas, invece, appartengono alla famiglia dei "Cantes de Levante", dove per 'levante' si intende la zona orientale dell'Andalusia.

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